Alberto Antonelli, severo direttore del Joffrey Ballet di Chicago, sta preparando un nuovo spettacolo intitolato "The Blue Snake". Personaggio bizzarro e intransigente, dirige la sua compagnia tra molte difficoltà pratiche (non ultime quelle economiche) ma con piglio deciso e fantasia visionaria, spremendo i ballerini fino all'ultima goccia di sudore (e di sangue). La giovane Ry, ambiziosa danzatrice di grande talento ma piena di problemi personali, ha l'occasione della vita quando, grazie all'infortunio di una più esperta collega, viene improvvisamene catapultata nell'ambito ruolo di prima ballerina dello show. Ma per raggiungere il suo sogno dovrà superare il duro ostacolo dell'esigente Antonelli. Il 34-esimo lungometraggio di Robert Altman, il penultimo della sua straordinaria carriera, è un dramma dedicato al mondo della danza classica, universo affascinante ma "chiuso", per molti ostico e misterioso, un mondo a sè in cui arte e vita convivono all'insegna dell'impegno quotidiano, del sacrificio fisico, della tirannia del tempo e della forza di gravità, in una competitiva lotta alla ricerca del gesto supremo, del bello assoluto, della mistica purezza dell'Arte. Nonostante la materia sia apparentemente aliena rispetto al grande regista americano, Altman vi si accosta con curiosità e deferenza, osserva e riprende con ammirato stupore le coreografie, le sedute di prova e le sessioni di ballo mettendosi quasi in un angolo e lasciando parlare la musica, le immagini, i corpi, i gesti ed i volti, realizzando una sorta di documentario di fiction. Ma poi, manco a dirlo, ci mette molto del suo nelle pieghe del racconto della vita dei personaggi, realizzando ancora una volta un film corale all'insegna delle rigide regole della danza dove non conta il singolo ma la squadra e il fine (la riuscita dello show) giustifica ogni mezzo, come ci ricorda più volte il machiavellico "despota" Antonelli interpretato con sagace istrionismo dal sempiterno "drugo" Malcolm McDowell. Magnifica la protagonista Neve Campbell, che ha anche contribuito alla scrittura del soggetto insieme a Barbara Turner, stilisticamente convincente nelle sequenze di danza, atleticamente prestante e fortemente espressiva nei momenti intimi. E' questa l'interpretazione della sua vita, quella che resterà, anche se la cosa potrebbe non piacere ai tanti fans della "final girl" della saga di Scream. Reputato da molti un'opera minore e involuta nell'itinerario di Altman, è invece un film profondo e potente, lirico ed elegante, baciato dalla grazia e illuminato da matura saggezza, una diversa declinazione della poetica del regista e l'ennesima affermazione della dura legge dello spettacolo (e della vita): "the show must go on". Anche senza più il genio di Kansas City. Purtroppo.
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