lunedì 22 novembre 2021

Surviving Picasso (1996) di James Ivory

Dieci anni di vita di Pablo Picasso, dal 1943 al 1953, partendo dal periodo del suo soggiorno nella Parigi occupata dai nazisti. Questo dramma biografico di James Ivory, scritto dalla fidata Ruth Prawer Jhabvala, si ispira principalmente a due testi letterari: "Picasso: creator and destroyer" di Arianna Huffington e "Vivre avec Picasso" di Françoise Gilot (interpretata nel film da Natascha McElhone), che fu la sua amante per lungo tempo, gli diede due figli e gli tenne testa  senza mai farsi sottomettere. Ivory ci offre un ritratto atipico, spigoloso, problematico e poco conciliante del grande genio andaluso, focalizzandosi essenzialmente sull'aspetto umano, sulla sua vita privata, sugli amori irrequieti e impetuosi e sui difetti del personaggio che vengono mostrati senza alcuna remora: prepotenza, vanità, egoismo, lussuria, avarizia, infedeltà, arroganza, smania del controllo e senso del possesso di tutto ciò che riteneva "suo" (donne comprese). Tutto quanto concerne l'arte, il talento, l'estro visionario, l'influenza sui posteri e la grandezza innovativa del Picasso pittore e scultore, vengono lasciate volutamente fuori fuoco o appena accennate. Questo approccio netto, coraggioso, provocatorio e forse in odore di narcisismo, ha lasciato perplessi i critici, il pubblico e persino diversi storici dell'arte che non sono mai stati esattamente degli ammiratori del celebre artista spagnolo. E' inevitabile chiedersi quanto sia davvero realistica una raffigurazione così aspra e negativa del Picasso uomo, o in che percentuale risulti invece frutto di pettegolezzi, pregiudizi o atteggiamenti ideologici di parte nei suoi confronti. In egual misura risulta poco comprensibile, e persino un tantino inquietante, la precisa scelta di cancellare dal film il Picasso geniale artista, quasi a volerne tracciare una sorta di anti-agiografia, abusando di retorica negativa per puro gusto iconoclasta. Un'altra possibile chiave di lettura, probabilmente la più affine alla personalità del regista, è quella di creare un ambiguo contrasto stridente tra l'uomo e l'artista per mostrare il miracolo della coesistenza tra il sublime e lo spregevole nel medesimo individuo, un paradossale prodigio che può accadere solo quando si parla di Arte. Comunque la si voglia interpretare il film resta parzialmente deludente perchè troppo rigido, monocorde, manicheo e privo di sfumature nella caratterizzazione del protagonista. Sono invece da lodare la consueta sopraffina eleganza figurativa della messa in scena e le interpretazioni eccellenti del cast, che annovera Anthony Hopkins, Natascha McElhone e Julianne Moore. Hopkins, con il suo stile di recitazione introspettivo ed emotivamente reticente, costituisce probabilmente l'aspetto artistico più rilevante dell'opera.

Voto:
voto: 2,5/5

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