Yara Gambirasio, tredicenne di Brembate di Sopra (Bergamo), scompare nel nulla la sera del 26 novembre 2010 mentre sta rientrando a casa, dopo avere appena lasciato il centro sportivo dove frequenta abitualmente lezioni di ginnastica. Le indagini scattano subito guidate dal magistrato Letizia Ruggeri e l'intera piccola comunità si mobilita compatta, ma nessuno ha visto nè notato qualcosa di anomalo. Dopo una serie di false piste, come quella di un giovane marocchino inizialmente coinvolto e poi scagionato, e lunghi terribili giorni di silenziosa attesa, avviene il tragico ritrovamento. Tre mesi dopo il corpo della ragazza viene individuato, per puro caso, da un aeromodellista in un campo selvaggio di Chignolo d'Isola, a circa 10 km. da Brembate, in avanzato stato di decomposizione e con numerose ferite inferte da un corpo contundente e un'arma da taglio. La caccia al "mostro" si rivela faticosa e complessa ma, grazie al DNA trovato sugli indumenti intimi della povera vittima, per tanto tempo associato al misterioso "Ignoto 1", la pm Ruggeri riesce, dopo ben 4 anni di minuziosa e rivoluzionaria indagine a tappeto sul territorio, ad incastrare il colpevole: Massimo Bossetti, un muratore di mezza età, sposato e con figli, senza precedenti penali e assolutamente insospettabile. Bossetti, individuo ambiguo e un po' inquietante, viene condannato all'ergastolo, con sentenza confermata in tutti i possibili gradi successivi di giudizio (Cassazione compresa), ma continua a proclamarsi innocente. Doloroso dramma biografico di Marco Tullio Giordana, regista ormai specializzato nel cinema di cronaca e di denuncia civile, fedelmente ispirato, con filologica precisione, all'omicidio della piccola Yara Gambirasio e alla lunga indagine che ne seguì, fino al processo di primo grado che condannò Bosetti grazie alla prova "regina" del DNA. La ricostruzione è puntuale e precisa, basata sui fatti e sui documenti ufficiali, il regista non mostra nulla al di fuori di quello che già sappiamo ma si attiene rigorosamente agli eventi certi, senza azzardare ipotesi, evitando ogni sorta di morbosità violenta e dando anche un piccolo spazio alle rivendicazioni di innocenza di Bosetti e del suo avvocato difensore. Il risultato è un film cronachistico e didascalico, più una sorta di documentario in fiction che un'opera cinematografica, che non fa sconti ma non assume posizioni giudiziarie esplicite, se non il pietoso cordoglio per le vittime innocenti (Yara e la sua famiglia ferita da un dolore irreparabile). Non si azzardano fantasiose ricostruzioni dei particolari del delitto e di quelle terribili ore del 26 novembre in cui Yara "sparì", tallonata dal tristemente noto furgone bianco di cui tutti i giornali hanno ampiamente parlato. Di cinematografico c'è però il bel personaggio di Letizia Ruggeri, a cui la brava Isabella Ragonese offre un volto umano e risoluto, la toccante interpretazione di Chiara Bono nel ruolo di Yara e gli affondi (anche politici) sulle pressioni, le diffidenze ed i segni di sfiducia ricevuti dalla Ruggeri da parte di collaboratori e superiori durante il lungo iter investigativo. Un'indagine che alla fine ha fatto scuola, creando un eccellente precedente (anche accademico oltre che metodologico) per tutti i casi a seguire. E' in queste pieghe che il regista dà spazio alla sua visione liberale e tollerante, al suo impegno nei confronti della parità dei diritti, al suo solidale sostegno verso le donne, criticando con fermezza i pregiudizi maschilistici che ancora oggi sono all'ordine del giorno nella nostra società, nella anonima normalità delle abitazioni di provincia così come nei grandi centri di potere. Prodotto da Netflix e distribuito prima in sala e poi sulla piattaforma di streaming, questo Yara è un film dedicato alle vittime, alle donne ed all'abilità tutta italiana di sapersi inventare soluzioni risolutive anche nei casi più disperati.
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