giovedì 18 novembre 2021

Havoc - Fuori controllo (Havoc, 2005) di Barbara Kopple

Allison è giovane, bella, ricca e annoiata, vive in una casa lussuosa della Los Angeles dei "quartieri alti", con due genitori sempre assenti ed ha un ragazzo, Toby, della sua stessa classe sociale con cui intrattiene una relazione priva di squilli. In cerca di una botta di vita e di emozioni forti, Allison e la sua amica Emily si addentrano nei ghetti periferici dominati dalla malavita latinoamericana e prendono contatto con una gang di spacciatori. Sarà l'inizio di una pericolosa discesa negli inferi metropolitani. Dramma sul disagio generazionale giovanile di Barbara Kopple, che propone lo strano incontro tra il microcosmo dei bianchi benestanti, che hanno tutto ma sono infelici, e quello periferico del gangsta-rap, della cultura hip-hop e delle bande di teppisti di strada a maggioranza latina. Per molti versi sembra quasi di essere sul set di un'opera di Harmony Korine, peccato però che l'evidente intento di denuncia sociale della regista (che ha un illustre passato da abile documentarista) si perda mestamente in una squallida fiera di stereotipi, di banalità e di soluzioni narrative prevedibili, finendo per non aggiungere nulla di nuovo a tutto quello che già conosciamo sull'argomento. La carica "maledetta" del film sulla ricerca morbosa del lato oscuro che caratterizza molti esseri umani, diventa più che altro una suggestione erotica pruriginosa, che ha attratto la gran parte degli spettatori, nel vedere l'affascinante Anne Hathaway (che, con quei suoi occhioni da cerbiatta, ci aveva abituati a ruoli totalmente opposti di fatine e principesse targate Disney) nei panni di una "ragazzaccia" sconcia, viziata, amorale e libidinosa, attratta irresistibilmente da ambienti malsani e relazioni sessuali pericolose per evadere dalla sua routine privilegiata. La materia è scottante, molto attuale e ovviamente non interessa soltanto l'America, ma la pellicola ha poco mordente e non si va mai oltre una convenzionale patina di superficie, finendo per inscenare la consueta sagra di violenze, droghe, turpiloqui, erotismo malizioso, slogan di strada, degrado ambientale e ideologie parassitarie, con un sottofondo di becero moralismo a fare da controcanto. I momenti migliori sono quelli più intimi, in cui emergono chiaramente le fragilità di Allison e il suo vuoto esistenziale, un vuoto che ha radici profonde e che parte da molto lontano. Se si fosse puntato soprattutto su questi aspetti sarebbe stato un film ben più utile, solido e centrato.

Voto:
voto: 2,5/5

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