John Harrington gestisce un atelier di abiti da sposa insieme a sua moglie Mildred ed è un playboy incallito, amante della vita mondana e delle belle donne. Ma nella sua mente nasconde un oscuro segreto: a causa di un vecchio trauma legato a sua madre, l'uomo è anche uno spietato serial killer che uccide le ragazze dopo averle sedotte. Stressato dai continui litigi con la moglie e dalle indagini della polizia che inizia a sospettare di lui, John precipita in un delirio sempre più patologico, non distinguendo più la realtà dalla follia. Compie un atto estremo e si ritrova immerso in un incubo dalle tinte paranormali. Interessante e raffinato psico-thriller di Mario Bava, scritto da Santiago Moncada e diretto dal Maestro ligure con estrema ricercatezza stilistica (soprattutto dal punto di vista della fotografia da lui stesso curata) e con notevole ricchezza di invenzioni visive, molte delle quali (come sempre nel suo caso) hanno fatto scuola in maniera "inconsapevole". Il film è un falso giallo intriso di ironia nera che gioca a sovvertire gli stereotipi del genere, per poi assumere un'atmosfera ambigua in soggettiva (seguendo il punto di vista del disturbato protagonista) e confondere gli spettatori abilmente, fino a trasformarsi in una ghost-story dal tono beffardo e dal senso sfuggente. Il progetto, che è una coproduzione italo-spagnola, iniziò nel 1968 con le prime riprese effettuate tra Roma e Barcellona; uno dei set è niente meno che la villa del "Caudillo", il dittatore Francisco Franco che generosamente concesse il permesso. Ma per problemi di budget la lavorazione fu sospesa, le ambientazioni furono spostate a Parigi e la pellicola vide la luce dopo quasi due anni di stallo. Il titolo iniziale, che doveva essere Un’accetta per la luna di miele, fu mantenuto nei paesi anglofoni, dove venne distribuita a partire dal 1973 come Hatchet for the Honeymoon. In Italia il film non fu né capito né apprezzato e passò immediatamente nell'oblio. Dopo la rivalutazione di Bava, avvenuta a partire dagli anni '90, viene solitamente relegato tra le sue "opere minori", ma è invece ricca di personalità creativa, esteticamente pregevole e con un paio di scene macabre di grande impatto, pur mostrando pochissimo dal punto di vista della violenza esplicita. Gli amanti dell'horror sanguinolento e delle efferatezze truci rimarranno ovviamente delusi, ma coloro che cercano l'inquietudine più sottile e le atmosfere angoscianti troveranno pane per i loro denti. Da segnalare, nel cast, le buone prove di Steve Forsyth, Laura Betti e Dagmar Lassander, oltre alla presenza della bella Femi Benussi, una delle icone sexy del nostro cinema di genere di quegli anni.
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