Nei primi anni '70, in una periferia romana ancora in costruzione, tra appartamenti lussuosi e cantieri edili sparsi nella campagna confinante, ormai pronta ad essere ricoperta da colate di cemento, vive la famiglia Borghetti, appartenente alla borghesia benestante. Il capofamiglia Felice è un uomo del meridione, rigido, maschilista e di idee retrograde, sua moglie Clara è una donna spagnola bella e infelice, costretta a sopportare le scappatelle del marito e un matrimonio asfissiante che non le consente di esprimere liberamente il suo temperamento solare, vitale e giocoso. La coppia ha tre figli piccoli, tra cui la maggiore, Adriana, si fa chiamare Andrea ed è in crisi perchè, giunta alle soglie dell'adolescenza, non accetta il suo corpo che sta sbocciando e che imprigiona la sua vera essenza, un'essenza di sesso maschile. La ragazzina porta sempre i capelli corti, si veste come un maschio e soffre sia per il conflitto che avverte in sé sia per l'infelicità di sua madre, con la quale ha un rapporto fortissimo fatto di amore, complicità, conflitto e protezione. Di fronte all'ottusa insensibilità di Felice, che sceglie di ignorare quello che non gli piace e, se messo alle strette, sa reagire solo con rabbia o violenza, Adriana spera che degli alieni la vengano a salvare (alieni proprio come si sente lei in una società che non l'accetta), si rifugia in un mondo fantastico tutto suo e stringe un delicato rapporto di amore "proibito" con una sua coetanea che vive in una baraccopoli al di là di un fitto canneto posto al limitare del suo quartiere. Questo intenso dramma familiare, scritto e diretto da Emanuele Crialese, è stato un film dalla lunga e complessa gestazione: al regista romano di origini siciliane ci sono infatti voluti ben 11 anni per realizzarlo e, durante la sua presentazione in anteprima avvenuta al Festival di Venezia, lui stesso ne ha svelato il motivo. Sorprendendo tutti, con una dichiarazione pubblica inattesa, Crialese ha rivelato che il film è autobiografico, tratto dai ricordi della sua infanzia e che il personaggio di Adriana/Andrea è ispirato a sé stesso e alla sua storia. Un racconto toccante con cui l'autore ha serenamente esternato, per la prima volta, la sua transizione sessuale con relativo cambio di nome anagrafico (da Emanuela a Emanuele) e anche con accenni polemici verso le leggi italiane relative a queste delicate questioni. Dopo la sua intervista questa sua opera ha immediatamente assunto un tono ed un senso diverso, diventando per ovvie ragioni il suo lavoro più intimo, sentito e personale. La scelta stilistica attuata da Crialese è quella di una favola a tratti nera, ma filtrata attraverso la prospettiva "magica" e inquieta di una bambina che si sente un bambino, che vede il mondo ancora sotto la luce ingenua e fantasiosa dell'infanzia e che non sa come gestire il forte disagio interiore che prova, sia per il suo essere "diversa" sia per la tensione di un matrimonio ormai finito che avverte guardando gli occhi di sua madre. Va dato merito all'autore di aver gestito un materiale per lui così coinvolgente dal punto di vista emotivo, con estremo pudore e con elegante riserbo, senza mai scadere in eccessi patetici o in sermoni sentimentali. La messa in scena della società degli anni '70 è colorata e popolare, malinconica e densa di tenerezza, in cui i momenti più riusciti risiedono nelle evasioni visionarie, quasi tutte musicali, con le reinterpretazioni di hits dell'epoca, da Celentano a Patty Pravo, e, soprattutto, Raffaella Carrà (di cui Crialese era una grande fan e la cui morte avvenne proprio durante la lavorazione della pellicola). Nel cast vanno citati l'esordiente Luana Giuliani, l'attore feticcio del regista (Vincenzo Amato) e, ovviamente, la magnifica Penélope Cruz, che si riconferma attrice di altissimo livello, capace di offrire il meglio di sé soprattutto nelle produzioni europee piuttosto che in quelle hollywoodiane. La Cruz, il cui personaggio è il faro emotivo della storia, offre una performance di classe sopraffina, degna di quelle con Almodovar, recita in italiano e ci regala un momento memorabile in cui canta e balla "Prisencolinensinainciusol", travestita da Raffaella Carrà. Al di là degli aspetti autobiografici su cui l'inatteso coming out del regista ha acceso inevitabilmente i riflettori, bisogna dire che L'immensità è perfettamente in linea con le tematiche tipiche di tutta la sua filmografia: il viaggio (in questo caso la transizione) inteso come percorso spirituale per vedere riconosciuta la propria identità con parità di diritti e di decoro, a prescindere dalla razza, dalla provenienza, dal ceto sociale e dalla sessualità. E ancora: il desiderio di libertà e di espressione delle donne forti, non conformi e non remissive, che viene scambiato per "follia". E la ricerca di un "segno" che arrivi dall'alto, come conforto e gancio a cui appigliare il proprio disagio esistenziale (il pluripremiato Nuovomondo (2006) inizia esattamente in questo modo). E infine vale la pena di ricordare anche le diverse citazioni (e autocitazioni) di cui la pellicola è disseminata, con particolare apprezzamento per l'omaggio (velato ma elegantissimo) a Sergio Leone, quando l'inquadratura su Clara e Adriana si allarga mostrando il totale in campo lungo della scalinata di Viale Glorioso. I cinefili hanno colto la finezza e sentitamente ringraziano.
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