Beau è un uomo di mezza età che soffre di gravi problemi psichici, vive da solo in uno stato di ansia perenne, è terrorizzato dal sesso e dalle relazioni con gli altri, è timido e impacciato, si scusa di continuo per ogni cosa ed ha rapporti solo con lo psicanalista e con una madre ingombrante da cui è soggiogato e che è l'origine di tutti i suoi traumi. Il suo tentativo di intraprendere un viaggio verso la casa materna sarà per lui l'inizio di una lunga odissea, che si trasformerà in un vero e proprio incubo paranoico, in cui non è mai chiaro cosa avviene realmente e cosa accade solo nella mente di Beau. Nel 2011 il regista Ari Aster ha realizzato un cortometraggio di soli 6 minuti intitolato "Beau", la cui breve trama è l'assunto iniziale di questo film. Per almeno 10 anni Aster ha lavorato in maniera non continuativa sull'ampliamento di questo progetto, annotando idee e scrivendo nuove parti di sceneggiatura in una sorta di "zibaldone" dedicato al personaggio di Beau, a cui, evidentemente, ha sempre tenuto particolarmente. Questo suo terzo lungometraggio è il risultato di questo lungo processo creativo, tante volte rimandato e sospeso ma mai dimenticato, per la cui definitiva genesi sono stati necessari ben 12 anni. Diviso in 4 atti (la città pericolosa, la villa di Roger e Grace, la foresta e il ritorno a casa) più un prologo ed un epilogo stranianti che ellitticamente tendono a congiungersi, Beau ha paura è una commedia drammatica surreale dai toni grotteschi e dallo stile stravagante, squinternata come il suo protagonista, carica di simboli allegorici e leggibile a diversi livelli interpretativi, in un'ampia scala di compromessi compresi tra i due estremi "è tutto vero" o "è tutto nella testa di Beau". Il film non fornisce alcuna risposta certa o logica (e questo è un bene), ma sceglie di lasciare allo spettatore l'esperienza del "viaggio" e le successive riflessioni a valle di esso. Evitando ogni sorta di spoiler, ci limitiamo a sottolineare alcune "certezze": la pellicola è una bizzarra metafora psicoanalitica del rapporto edipico tra una madre "castrante", morbosa e autoritaria ed un figlio fragile e succube, che è sempre vissuto nella sua ombra e che è incapace di vivere la propria vita perchè non è mai riuscito a recidere quell'ideale cordone ombelicale che lo "incatena" a lei. Il film è cosparso di allegorie che alludono all'elemento materno (l'acqua come il liquido amniotico, la caverna come l'utero materno), alla repressione sessuale di Beau, al suo sentirsi "colpevole" o inadatto (nell'epilogo l'autore sembra addirittura voler rendere anche gli spettatori "complici" di questo processo accusatorio) e del suo odio-amore verso quella Mater Terribilis che è l'origine di tutto (della sua vita biologica e dei suoi mali). Dei 4 atti in cui la pellicola è divisa, il primo e il terzo sono davvero straordinari: visionari, fuori di testa, esilaranti e angoscianti al tempo stesso, ricchi di invenzioni (anche visive) di grande impatto, come nella magnifica sequenza in cui Beau "entra" nell'opera teatrale che va in scena nella foresta ed immagina una sua possibile vita in un mondo animato "cartoonesco" a due dimensioni. Ma il film è decisamente troppo lungo (la durata sfiora le tre ore) e paga il dazio della mancanza di equilibrio tra le sue parti, in particolar modo è claudicante nell'ultimo segmento, che lascia perplessi per i suoi eccessi e per alcune trovate sull'orlo del ridicolo involontario. Nel cast sono tutti bravissimi, con menzione speciale per il protagonista Joaquin Phoenix (magnifico in questa sua nuova performance che è opposta ma anche complementare a quella, pluripremiata, del Joker) e per la sorprendente Patti LuPone. Martin Scorsese (che da quando ha raggiunto l'età avanzata della saggezza si compiace di parlare apertamente di tutto e di tutti) ha pubblicamente elogiato la pellicola ed il suo regista, definendolo come sorprendente e originale, una nuova voce autoriale nel panorama del cinema americano. Sull'audacia e sulla bravura di Ari Aster non c'è nulla da eccepire, ma deve ancora migliorare in asciuttezza e concisione per ambire al capolavoro.
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