New York, agosto 1969, l'estate dello sbarco sulla luna, con la città che prepara i festeggiamenti per il ritorno degli astronauti della missione Apollo 11. Indiana Jones è ormai vecchio e stanco, vive da solo in uno sgualcito appartamento di Manhattan, ha appeso da tempo frusta e cappello al chiodo e si prepara ad andare in pensione dal suo lavoro di professore universitario di archeologia. Proprio durante la sua ultima lezione riceve la visita a sorpresa della sua figlioccia Helena Shaw, che non vede da tantissimi anni; figlia del suo collega Basil, ormai passato a miglior vita, con cui nel 1944 condivise un'avventura in Germania, rubando su un treno nazista il pezzo di un antico manufatto greco costruito da Archimede e da tutti conosciuto come la macchina di Antikythera. Helena, espertissima sull'argomento che fu l'ossessione di suo padre per tutti gli ultimi anni di vita, è certa che Indy conservi ancora la sua metà del marchingegno ed è venuta a reclamarlo. Basil Shaw era convinto che l'intero meccanismo, se riassemblato nel modo corretto, potesse concedere all'utilizzatore il potere di viaggiare nel tempo. La ragazza, che conosce a memoria tutti gli appunti e gli studi del suo defunto genitore, è sicura di riuscire a trovare tutte le parti mancanti dell'Antikythera, decodificando quegli indizi con cui ha familiarizzato fin da piccola. Ma Helena non è l'unica interessata al misterioso congegno di Archimede, infatti la medesima pista è seguita da un pericoloso scienziato nazista, Jürgen Voller, scampato alla cattura ed emigrato in America sotto falsa identità, che intende utilizzare il potere dell'Antikythera per i suoi scopi. Indy, che ha già incontrato Voller su quel treno nel '44, sarà costretto a tornare in azione, volente o nolente. Il quinto (e si spera ultimo) colpo di frusta dell'avventuriero archeologo più famoso del mondo, Indiana Jones, arriva a 15 anni dal precedente pessimo quarto capitolo, dopo un processo di lavorazione lungo e tormentato che ha visto una interminabile serie di cambiamenti, ritardi, ribaltoni e colpi di scena anche clamorosi, come l'uscita di scena di George Lucas che nel 2012 ha venduto interamente la sua Lucasfilm alla Walt Disney (cedendo con essa tutti i diritti sulle storie e sui personaggi da lui creati, Indiana Jones compreso) e poi la decisione di Steven Spielberg, arrivata nel 2020, di rinunciare alla regia di questo quinto episodio della saga. E' stata la potente produttrice Kathleen Kennedy (attuale presidente della Lucasfilm) a credere sempre nel progetto e a portarlo avanti fino alla fine nonostante gli svariati travagli, tra cui l'età di Harrison Ford, che adesso ha 80 anni (portati benissimo), non è certo un dettaglio da poco. Così, alla fine, il film ha visto la luce, con la regia dell'affidabile James Mangold, una sceneggiatura scritta e riscritta svariate volte da più autori (tra cui David Koepp e lo stesso Mangold) ed i sacri numi tutelari Steven Spielberg e George Lucas che appaiono solo in veste di produttori esecutivi, ma che, a detta di tutti, hanno dato la loro sentita "benedizione" al film. Dire che questo ennesimo Indiana Jones arrivi fuori tempo massimo (in effetti già il quarto lo era ampiamente) o che i continui sequel siano soltanto il frutto dell'avidità di Hollywood di spremere all'osso ogni suo prodotto per lucrarne al massimo i profitti fino allo sfinimento, è cosa ovvia, è un po' come sparare sulla Croce Rossa o scoprire l'acqua calda. Quindi non lo diremo. Il film, per quanto sia oggettivamente troppo lungo (2 ore e 34 minuti) ed appaia generalmente stanco (come il suo protagonista), privo di invenzioni scattanti, scontato e con molte sensazioni di già visto, non è però da buttar via in toto (specialmente se lo si paragona all'imbarazzante predecessore) ed ha comunque i suoi buoni momenti, che faranno sicuramente la felicità dei tantissimi fans di Indiana Jones (tra i quali c'è anche il sottoscritto). Può essere diviso idealmente in tre parti ambientate in giro per il mondo, di cui l'ultima è quella più riuscita, compatta e toccante. James Mangold non è Steven Spielberg; è evidente e lui stesso lo sa bene. Però il regista newyorkese ha avuto l'umiltà e l'intelligenza di mettersi totalmente al servizio del personaggio e della sua mitologia, facendo un film "alla Spielberg", citando e replicando apertamente e continuamente tutti gli amati stereotipi della saga e infarcendo la sua pellicola di omaggi alla trilogia originale (Shorty compreso! ebbene sì, in qualche modo compare anche un suo degno epigono). Harrison Ford si mantiene in ottima forma fisica (si concede persino l'ardire di un'apparizione a torso nudo) ed è stata sua la saggia decisione di non nascondere mai l'età, gli acciacchi e le debolezze del personaggio nel film. La famosa sequenza del suo ringiovanimento digitale (già mostrata in anticipo nel trailer), ovvero il lungo epilogo introduttivo ambientato nel 1944, è effettivamente strabiliante nei risultati, per quanto non ancora perfetta al 100%. Ma ormai ci siamo davvero vicini (purtroppo o per fortuna). Il cattivo di Mads Mikkelsen è alquanto convenzionale, così come è incomprensibile la scelta di sprecare Antonio Banderas in un ruolo fugace, mentre tutte le buone nuove arrivano dal nuovo, fresco, accattivante e brioso personaggio femminile, la Helena di Phoebe Waller-Bridge, che probabilmente è l'aspetto migliore di questo Indy5, insieme a Harrison Ford e, manco a dirlo, alla colonna sonora di John Williams. Già, John Williams. Una leggenda vivente, che dopo 91 anni di vita, 71 di carriera e 53 candidature agli Oscar (!) ha ancora l'estro, la voglia e l'energia per comporre e dirigere una grande colonna sonora di questo tipo, rivisitando in buona parte i suoi mitici temi già scritti per la saga ma anche componendone di nuovi, come quello (splendido) di Helena. Ed è soprattutto grazie a John Williams, a Harrison Ford e ad un'attenta scelta romantica di scrittura che il finale (del film e, probabilmente, della saga di Indiana Jones) è capace di regalarci una nuova sincera emozione.
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