lunedì 17 luglio 2023

Cleo dalle 5 alle 7 (Cléo de 5 à 7, 1962) di Agnès Varda

Una giovane donna, un orologio che scandisce il tempo, l'attesa di una notizia che pesa come una sentenza. E in mezzo a questo, la vita. Quella banalmente quotidiana a base di bar, negozi, incontri e conversazioni di circostanza e quella pensata, interiore, fatta di ansie, di paure, con la certezza della sua futile caducità. Questo è, in sintesi, Cleo dalle 5 alle 7, secondo lungometraggio e capolavoro di Agnès Varda, regista belga ed esponente di spicco della nouvelle vague francese, autrice raffinata caratterizzata da uno stile agile e minimale, una sorta di documentarista del quotidiano sempre alla ricerca di nuove sperimentazioni estetiche e costantemente interessata alle questioni femminili e femministe, con una punta acre di critica sociale in sottofondo. E non fa eccezione questo autentico gioiello, sempre attualissimo nella sua messa in scena originale che fa coincidere il tempo "reale" con quello della finzione cinematografica, scandendo le due ore della giornata di una giovane cantante, la bionda Cléo, mentre attende l'esito di un controllo medico che ha effettuato, con il timore, rafforzato da diversi fattori, di avere una grave malattia. Girato in un elegantissimo bianco e nero (a parte i titoli di testa che sono a colori), questo dramma introspettivo in controluce riflette sul senso (e sul non senso) della vita, su cui pende invisibile la spada di Damocle del destino che può colpire chiunque e in qualunque momento, facendo cambiare ogni prospettiva o abitudine in un singolo istante. L'utilizzo dei dialoghi, delle musiche, del film nel film (quello che vediamo proiettato in una sala è il cortometraggio Les fiancés du pont Macdonald diretto dalla stessa Varda) e di alcune sequenze magistrali (Cléo riflessa in un "dedalo" di specchi) sono tutti orientati ad un evocativo simbolismo di pura arte narrativa e costituiscono un corpo unico insieme al flusso del racconto. A mano a mano che i pensieri di Cléo diventano più cupi e preoccupati, anche lo scenario intorno (così come le tecniche di ripresa utilizzate) cambiano di conseguenza, in una espressiva soggettività mimetica che ci immerge nella psiche della protagonista. L'ausilio della voce fuori campo per esternare le sensazioni della ragazza in alcune sequenze chiave, deriva dalla formazione documentaristica della regista, ma, probabilmente, in loro assenza l'effetto finale sarebbe stato ancora superiore. L'attrice protagonista, Corinne Marchand, è semplicemente magnifica: fragile, intensa, bellissima e di luminosa fotogenia.

Voto:
voto: 4,5/5

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