domenica 2 luglio 2023

Mine vaganti (2010) di Ferzan Ozpetek

La famiglia Cantone gestisce da due generazioni uno dei pastifici più importanti della Puglia. Il capofamiglia è Vincenzo, sposato con Stefania, da cui ha avuto tre figli: Tommaso (che vive a Roma dove studia economia e commercio), Antonio (che aiuta il padre nella direzione dell'azienda) ed Elena. Altri membri fissi sono la vecchia nonna, austera ed elegante, che fu la prima ad avviare l'impresa familiare insieme a suo cognato, e la zia Luciana, alcolista e sessualmente assatanata. Tommaso ritorna a casa con l'intento di rivelare a tutti la propria omosessualità, stanco di mentire anche se consapevole che la notizia sarà uno shock per i suoi, arretrati di mentalità e di ristrette vedute su queste tematiche. Prima del pubblico coming out egli rivela la cosa a suo fratello Antonio, che cerca in tutti i modi di farlo desistere dicendogli che è inutile dare un dolore a suo padre visto che ormai la sua vita è altrove. Al momento della fatidica cena, quando Tommaso sta per prendere la parola, un clamoroso colpo di scena cambierà ogni cosa. Questa gradevole commedia corale diretta da Ferzan Ozpetek con tocco felpato, e da lui scritta insieme a Ivan Cotroneo, è un affresco spigliato e colorito dei problemi familiari che insorgono di fronte ad argomenti delicati come l'omosessualità, una materia ancora tabù per gran parte degli italiani nel momento in cui se ne viene toccati in prima persona. L'ambientazione salentina, esaltata dalla bella fotografia ocra di Maurizio Calvesi, si porta dietro, non senza i classici stereotipi, l'atavico discorso del moralismo bigotto degli ambienti provinciali (e per giunta meridionali) con tutto il miserabile corredo di conformismo ipocrita, pettegolezzi taglienti, maschilismo, omofobia e concezione arcaica del concetto di "onore" familiare. Tuttavia il ritratto offerto dal regista turco, ma romano d'adozione, non è mai rancoroso o isterico, ma ironico, pungente e brioso, a tratti anche molto divertente al netto di qualche scivolone nel kitsch (come nella parte in cui gli amici gay di Tommaso arrivano nel Salento preoccupati per la sua assenza). E questo modo di trattare un argomento che a lui sta molto cuore per evidenti motivi personali (la mentalità discriminatrice verso gli omosessuali) è un segnale di saggezza, pacatezza e maturità artistica che non possono che fargli onore. Non mancano i marchi di fabbrica tipici del regista come le famiglie allargate e strampalate, le grandi tavolate con la macchina da presa che ruota intorno ai commensali e l'alternanza della storia narrata con un'altra che avviene nel passato, che ci viene mostrata in flashback e che alla fine avrà un'importanza cruciale per quella presente. Ottimo il cast, affollato e diretto con maestria, in cui i più bravi sono Ennio Fantastichini, Lunetta Savino e Nicole Grimaudo, ma persino attori solitamente mono-espressivi come Riccardo Scamarcio o Alessandro Preziosi offrono una performance superiore alla loro media (e questo è un ulteriore merito da ascrivere a Ozpetek). Ma un discorso a parte merita la raffinata Ilaria Occhini, che nel ruolo della nonna, ci regala una interpretazione di gran classe ed il personaggio più riuscito del film (la "mina vagante" del titolo). Il finale onirico surreale che riunisce, in un suggestivo ballo allegorico, passato e presente è una vera perla cinematografica, una delle sequenze più felici della carriera di Ozpetek. Grande successo di pubblico e di critica e numerosi premi vinti in patria (David di Donatello, Globi d'oro, Nastri d'argento), ma anche all'estero: il Tribeca Film Festival di New York celebrò la pellicola con il Premio Speciale della Giuria.

Voto:
voto: 3,5/5

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