Tre
donne in attesa di partorire si ritrovano nella medesima stanza di un reparto
di maternità, con un’infermiera che le assiste. La prima, Cecilia, perde il
bambino ed incolpa sé stessa e il suo difficile rapporto matrimoniale. La
seconda, Stina, subisce la stessa sorte ma ha una reazione totalmente opposta.
La terza, Hiordis, ragazza madre, ha un parto regolare ma rifiuta il nascituro,
vedendolo come un frutto del peccato. Intenso dramma psicologico sul tema della
maternità, diretto da Bergman su commissione del governo svedese che era, all’epoca,
particolarmente impegnato in una veemente campagna contro l’uso indiscriminato
dell’aborto. E’ un’opera di assoluto rilievo che però è stata giudicata
negativamente dai critici a causa del confronto con i precedenti due capolavori
dell’autore (Il settimo sigillo e Il posto delle fragole), di fronte ai
quali qualunque film sarebbe stato inevitabilmente oscurato. E’ quasi una
versione drammatica di Donne in attesa (Kvinnors vantan, 1952), nella quale il
regista riepiloga i suoi temi, trovando un motivo di speranza alle avversità
dell’esistenza nel miracolo del rinnovarsi della vita. Animato da una sorta di
“religiosità” di stampo laico, il film, pur non risparmiando scene molto forti,
appare un po’ limitato da questo tipo di moralità edificante, assai lontana dal
temperamento problematico dell’autore (infatti è tratto da un romanzo di Ulla
Isaksson, scrittrice che offrirà anche il soggetto del controverso La fontana della vergine). E’, comunque,
un mirabile ritratto al femminile, tipicamente bergmaniano per la cura del
dettaglio e l’introspezione psicologica, che ci parla di dolore, di morte, di
angoscia, con un transfert emotivo che stabilisce una vibrante connessione tra
le splendide protagoniste. Straordinario il cast, con Eva Dahlbeck, Ingrid
Thulin, Bibi Andersson e Barbro Hiort af Ornäs, premiate tutte insieme al
Festival di Cannes con un meritato premio collettivo alla miglior
interpretazione femminile. Nella prestigiosa rassegna francese la pellicola si
aggiudicò anche il premio alla miglior regia, sancendo così il suo indubbio
valore artistico. Da recuperare.
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