Nicholas
Van Orton, ricco magnate della finanza di San Francisco, ossessionato dal
controllo e dal doloroso ricordo di un padre suicida, riceve, per i suoi 48
anni, un insolito regalo dal fratello Conrad, più giovane e scapestrato. Il
regalo consiste nell’iscrizione ad un club elitario e misterioso che organizza
giochi sofisticati e personalizzati per rendere eccitanti le vite monotone di
ricchi annoiati. Dopo aver aderito, con qualche titubanza, al gioco, Nicholas
si ritrova a vivere in un pericoloso incubo, incapace di distinguere i confini
tra il gioco e la realtà. Accattivante thriller ansiogeno di Fincher, ricco di
suspense e di mistero, tetra metafora del cinema e delle sue finzioni, forte di
invenzioni visive che mantengono lo spettatore costantemente col fiato sospeso.
Se ci si abbandona totalmente al gioco (e al film) disconnettendo per due ore
il cervello, è un grande spettacolo di tensione adrenalinica in cui, ad ogni
svolta, la domanda è: che succederà adesso ? Se, invece, si adotta la mezza
misura e ci si pone qualche domanda in più, appare evidentemente esagerato lo
squilibrio tra il fine e i mezzi, a meno di non evocare ulteriori
cervelloticità macchinose (tipo un gioco nel gioco). La sensazione finale è
quella di una regia vivace, dinamica e creativa al servizio di una
sceneggiatura (di John Brancato e Michael Ferris) un bel po’ stiracchiata nei
suoi intrecci arzigogolati. Nel cast l’ambiguo Sean Penn è assai più bravo di
un imbellettato Michael Douglas, che ormai sembra essersi cucito addosso il
ruolo di ricco arrogante potente e viziato. E’ un Fincher minore ma comunque
con diversi motivi d’interesse, per un thriller d’azione che resta, in ogni
caso, ben sopra la media del genere.
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