Dorothy
è una ragazzina che vive con gli zii in una fattoria del Kansas ed è
preoccupata per il suo vivace cagnolino Toto, che combina sempre guai.
Sognatrice inguaribile, Dorothy si abbandona spesso alla sua fantasia per
sfuggire alle ansie del quotidiano e vaneggia sovente di un mondo incantato
dove tutti sono felici e vivono in pace. Un giorno, durante un uragano, un
tornado la trasporta “oltre l’arcobaleno”, nel magico paese di Oz (quello da
lei sognato), dove la nostra incontra un uomo di latta senza cuore, uno
spaventapasseri senza cervello, un leone senza coraggio ed un mago che è profondamente
diverso da come appare. C’è anche una strega buona che si adopera per
difenderla dalla strega cattiva e tutti gli strani personaggi del mondo magico
sembrano assomigliare, in qualche modo, alle persone che Dorothy conosce e
incontra ogni giorno. Tratto da “Il
meraviglioso mago di Oz”, il primo dei quattordici libri della saga di Oz
scritti da L. Frank Baum tra il 1900 e il 1920, è una grande fiaba fantastico
avventurosa per famiglie che oggi viene generalmente considerato un classico
senza tempo, ma che ebbe una lavorazione lunga e travagliata. Fu il settimo
adattamento del romanzo di Baum (preceduto da lungometraggi, cortometraggi e
film di animazione) ma fin da subito concepito in grande, con un notevole
sforzo produttivo e con enormi aspettative. La sceneggiatura subì numerose
revisioni e molti furono i registi che si successero alla direzione prima che questa
venisse affidata in modo definitivo a Fleming, alcuni furono sostituiti mentre
altri sono rimasti come non accreditati per la loro parziale collaborazione
(tra questi citiamo George Cukor, Mervyn LeRoy, Norman Taurog e King Vidor, che
diresse le scene in Kansas). Il gigantismo produttivo portò ad un enorme costo
realizzativo, a 135 giorni di riprese ed un numero enorme di comparse e di
costumi, al punto che furono scritti addirittura dei libri che raccontavano le complesse
fasi di lavorazione al progetto. Il successo di pubblico e critica fu però
trionfale negli Stati Uniti, mentre in Italia, dove i romanzi di Baum erano
quasi sconosciuti, il film fu distribuito con dieci anni di ritardo suscitando
tiepide accoglienze. Gli indiscutibili punti di forza dell’opera sono: gli
incredibili effetti speciali (assolutamente innovativi per l’epoca), la
notevole interpretazione della sedicenne Judy Garland che si rivelò la perfetta
incarnazione di Dorothy, la bellezza delle canzoni (tra cui la celeberrima “Over the Rainbow” composta da Harold
Arlen e E.Y. Harburg), la forza immaginifica dei personaggi del mondo di Oz
(tra cui spicca la strega cattiva dell’Ovest interpretata da Margaret Hamilton),
la felice scelta di utilizzare il bianco e nero nelle scene ambientate nel
mondo reale ed il colore in quelle che si svolgono nel regno fantastico. E’
inutile sottolineare come, ad una visione odierna, alcuni di questi punti di
forza risultino notevolmente indeboliti. Visto l’oceanico successo Il mago di Oz ha avuto diversi seguiti,
epigoni e pellicole collegate, tra cui segnaliamo il musical dark The Wiz (1978), diretto da Sidney Lumet e
con Michael Jackson nel ruolo dello spaventapasseri. Vinse due premi Oscar
(alla colonna sonora e alla miglior canzone), più uno speciale per Judy Garland
(definito Honorary Juvenile Award e assegnato, senza soluzione di continuità, a
giovani attori o attrici fino al 1961). L’antica questione che ha sempre diviso
la critica (capolavoro si, capolavoro no) continua ad essere aperta. Il sottoscritto
appartiene al “partito del no”.
La frase: "Toto, ho l'impressione che non siamo più nel Kansas"
La frase: "Toto, ho l'impressione che non siamo più nel Kansas"
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