Due
adolescenti, Monica e Harry, si conoscono, si amano e fuggono insieme da
Stoccolma per trascorrere un’estate di passione sull’isola di Orno, lontani da
tutto e da tutti. Come si sa gli amori estivi sono intensi e durano poco, ma,
al ritorno a casa, la ragazza scopre di essere incinta. Costretta a sposare
Harry in gran fretta, Monica entra in profonda crisi esistenziale e vedrà
morire inesorabilmente il suo sentimento, con conseguente inesorabile
disfacimento del rapporto di coppia. E’, forse, il più famoso tra i film del
primo periodo di Bergman, un melodramma introspettivo malinconico e sensuale
diviso in tre parti: la prima e l’ultima sono di un tetro naturalismo che
asseconda i sentimenti e le emozioni contrastate dei personaggi. Straordinaria
e “magica”, invece, la parte centrale sull’isola, perfetta fusione tra una
sensualità straripante, una gioiosa energia vitale, un’audacia erotica insolita
per i tempi (che causò alla pellicola problemi con la censura) ed un lirismo
paesaggistico di luminoso simbolismo figurativo. E’ evidente che in questo
segmento l’autore, nel raccontarci le voraci pulsioni di un amore estivo
giovanile, ci parli di quel complesso momento di transizione tra l’adolescenza
e l’età adulta e che, nel magnificare l’incanto della prima, sancisca il potere
realistico della seconda. Il ritratto sincero e spudorato della gioventù
dell’epoca, di cui il regista fotografa la voglia di ribellione e il desiderio
di anticonformismo, è di vibrante valenza realistica, infatti, non a caso, il
film folgorò i cineasti francesi della Nouvelle
Vague (in particolare Godard e Truffaut), che definirono Bergman come un puro
genio capace di cogliere l’istante e fissarlo su pellicola come nessun altro. Il
celebre piano sequenza finale sul volto di Monica che guarda fisso in camera,
rivelando dai suoi occhi il suo tormento interiore, fu definito da Godard come “il più triste della storia del cinema”. Magistrale
interpretazione di Harriet Andersson nel ruolo della protagonista, che poi
diverrà una delle attrici (e “muse”) preferite da Bergman, lavorando con lui ben
nove volte, ex aequo con Liv Ullman e superata soltanto da Bibi Andersson (con
undici film all’attivo).
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