Traumatizzato
da un’infanzia a dir poco agghiacciante (sua madre ha evirato il marito
adultero con l’acido e questi, prima di uccidersi, le ha tagliato entrambe le
braccia), Fenix viene rinchiuso per vent’anni in una clinica di igiene mentale
nel tentativo di curare la sua mente. Dopo essere riuscito a scappare, Fenix si
riunisce alla madre che lavora in un circo itinerante dove i due mettono in
piedi un numero macabro in cui il figlio “presta” le sue braccia alla madre,
nascondendosi dietro il suo corpo. Psicologicamente posseduto dalla demoniaca donna,
il giovane viene spinto a commettere atroci delitti a danno di giovani donne,
in un insano desiderio di vendetta sanguinaria. Truculento horror grottesco in
puro stile Jodorowsky, scritto insieme a Claudio Argento (fratello del più
celebre Dario), che lo ha anche prodotto, e che mischia insieme,
impudentemente, melodramma barocco, grand-guignol, trash e splatter a iosa,
esoterismo macabro, genialità visionaria, aberrazioni oniriche, anacronismo
bizzarro, narcisismo esasperato, più una miriade di citazioni al cinema del
passato che vanno da Fellini a Hitchcock, dai gialli all’italiana degli anni
’70 ai freaks. C’è tanto, e forse troppo, in questo minestrone un po’ indigesto
per palati forti, distorto e sregolato, ma non privo di oscuro fascino visivo e
spesso soccorso dalla pia mano di una perfida ironia nera. Insomma è puro Jodorowsky,
un po’ genio e un po’ cialtrone, consigliabile unicamente agli amanti del
cinema underground o weird. Memorabile (e al tempo stesso
ripugnante) la sequenza del funerale dell’elefante.
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