Val
Waxman, regista nevrotico e in pieno declino, è stato bandito dalle major, nonostante abbia vinto due Oscar
in carriera, a causa delle sue tante manie compulsive e del suo carattere
spigoloso. Lasciato anche dalla moglie, che gli preferisce un produttore di
successo, il nostro si è ridotto a girare piccoli spot pubblicitari,
schiacciato dall’ombra del suo glorioso passato. Quando la ex moglie gli
procura un ritorno in grande stile come regista di un grosso film prodotto dal
suo nuovo compagno, Waxman diventa vittima di una cecità isterica e si trova
costretto a dirigere la pellicola da non vedente, cercando di non farsi
scoprire. Commedia minore di Allen, che parte da uno spunto totalmente
inverosimile (un regista cieco che dirige un film senza che gli altri se ne
accorgano) per tracciare una tagliente satira farsesca, ricca di elementi
autobiografici, contro l’odiata Hollywood, vista dal nostro come la nemesi
naturale della più colta New York. Accolto malissimo in patria e, come al
solito, un po’ meglio nella vecchia Europa, è un’opera insipida, innocua e
difficilmente difendibile alla luce di una sceneggiatura fragile, di personaggi
scritti in modo approssimativo e di una recitazione generalmente scialba, a
parte la buona prova di Tea Leoni. Allen appare ormai vecchio e stanco per fare
ancora l’attore protagonista e parecchie sue scene destano un fastidioso senso
di triste imbarazzo. Il senso ultimo del film (il cui titolo ambiguo è forse la
cosa migliore) vorrebbe essere che chiunque (persino un cieco) può far film a
Hollywood, ma la vis satirica appare
ormai un ricordo sbiadito di tempi migliori e la critica sarcastica non riesce
mai realmente a graffiare. Manca lo scatto, manca l’agilità, manca la
leggerezza illuminata, i momenti comici sanno di déjà vu e tutto si sofferma ad una blanda superficialità. E’ un film
che nulla aggiunge alla carriera dell’autore, anzi apre inquietanti scenari di generale
scarsezza di idee.
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