Nell’Inghilterra
vittoriana Gregory Anton, subdolo gentiluomo dai modi suadenti, seduce e sposa
la giovane Paula, convincendola ad abitare nella vecchia casa in cui viveva sua
zia, Alice Alquist, celebre cantante lirica uccisa in circostanze misteriose.
In realtà è stato proprio Anton ad assassinare la Alquist ed il suo
diabolico piano è tornare nella casa per continuare a cercare i gioielli della
vittima (che non è mai riuscito a trovare) e, contemporaneamente, far impazzire
la moglie con una sottile strategia psicologica. Avvincente melodramma gotico
di Cukor, carico di suggestioni noir,
di fascino oscuro e di atmosfere morbose costruite con sapiente efficacia.
Tratto dalla pièce teatrale Gaslight di Patrick Hamilton, già
adattata per il cinema da Thorold Dickinson nel 1940, è un inquietante dramma
psicologico straordinario per fascinazione evocativa e per la recitazione degli
attori, al punto da essere considerato una sorta di archetipo di questo genere
cinematografico per la sua capacità claustrofobica di giocare con i temi
dell’inganno, della sopraffazione e della duplicità. La regia accurata e
“invisibile” di Cukor ha fatto scuola in tal senso. Ebbe sette nomination agli
Oscar e vinse due statuette: miglior attrice protagonista a Ingrid Bergman e migliore
scenografia. Nel cast tra Charles Boyer, Ingrid Bergman, Joseph Cotten e Angela
Lansbury è davvero difficile dire chi sia più bravo. Memorabile il confronto
finale tra i due protagonisti, che inverte il
gioco delle parti con un coup de théâtre
speculare di grande effetto drammaturgico, in un pezzo di magistrale bravura
interpretativa. Il titolo originale deriva dall’espressione “gaslighting” con cui si indica una forma
di sottile violenza psicologica che induce la vittima a smarrire il proprio
senso di percezione della realtà, manipolandone così la psiche per i propri
fini. E’ tra i capolavori dell’autore, un autentico caposaldo della sua
filmografia.
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