Austin,
Texas: il musicista BV ama, ricambiato, l’inquieta Faye, che a sua volta ha una
torbida relazione sessuale con l’ambiguo Cook, potente produttore musicale
carico di ego e di arroganza. Faye non sa scegliere tra i due uomini e, per
quanto sembri preferire il più tranquillizzante BV, finisce sempre per cadere
nuovamente tra le braccia di Cook. Tra seduzioni e tradimenti il gioco delle
coppie continua a mutare assetto, con Cook che irretisce la bella cameriera Rhonda,
fragile e sensuale, e BV che tronca con Faye per frequentare la più matura Amanda.
Il nuovo film di Terrence Malick, ormai afflitto da evidente bulimia produttiva
visto il copioso numero di pellicole che sforna in rapida sequenza, appartiene
al medesimo filone stilistico inaugurato con l’acclamato The tree of life ed ha maggiori attinenze tematiche con il
successivo (e meno riuscito) To the wonder. Stavolta però il Maestro americano, pur muovendosi nella stessa
scia delle opere precedenti, cerca di sperimentare qualcosa di nuovo,
scegliendo una storia più ordinaria (un triangolo amoroso che poi diventa
quadrilatero, anzi pentagono), utilizzando una maggiore linearità diegetica e
barattando il tipico stile errante e meditabondo con un maggiore dinamismo
estetico, che si esplica attraverso un montaggio frenetico ed un furioso vigore
visuale. Il risultato è però un film più semplice e, complessivamente, meno
profondo e meno interessante rispetto al capostipite The tree of life o all’ipnotico ed elusivo Knight of Cups. La capacità malickiana di trasformare un
affascinante racconto per immagini in un apologo antropologico ricco di
implicazioni morali, spirituali ed esistenziali sul destino dell’uomo moderno
nell’occidente capitalistico, resta comunque intatta e la pellicola merita
ampiamente la visione e va, ovviamente, collocata bene al di sopra della media
dei tanti prodotti convenzionali propinati dall’industria hollywoodiana. Però è
innegabile che trattasi di un Malick minore, più dimesso e meno graffiante dal
punto di vista filosofico e concettuale. Nel grande cast di stelle, che
annovera Michael Fassbender, Ryan Gosling, Rooney Mara, Natalie Portman, Cate
Blanchett e Val Kilmer, il personaggio più interessante è quello, mefistofelico,
di Cook, a cui la fisicità aspra di Fassbender sa conferire il giusto fascino
ruvido e “maledetto”. Spaesato Gosling, ornamentale la Mara, luminosa la Portman (che buca lo
schermo ad ogni apparizione), bolso e untuoso Val Kilmer, mentre la Blanchett regala lampi di
gran classe nelle poche volte in cui compare in scena. L’attrazione quasi
irresistibile che le star di Hollywood provano per il reticente Malick, spesso
disposte a lavorare anche gratis per lui e senza alcuna pretesa preventiva in
merito al minutaggio di presenza in scena, la dice lunga sul carisma del
regista. Un autentico vate cinematografico (uno degli ultimi a questo livello)
che ha fatto dell’isolamento programmatico la sua fortuna e che sa ancora
regalarci bagliori del suo immenso talento attraverso un unico grande poema per
immagini che si clona e si autorigenera da sei anni a questa parte.
Voto:
Ripartire da zero per ritrovare sé stessi
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