L’avvocato
Fredrik Egerman, dopo essere rimasto vedovo, ha sposato la bella Anne, molto
più giovane di lui, verso cui prova una morbosa gelosia, di cui non è immune
neanche suo figlio Henrik, segretamente innamorato dell’attraente matrigna. Per
ripicca Fredrik va a trovare una sua vecchia fiamma, l’attrice Desirée, che ha
avuto un figlio segreto da lui e che ha una relazione con il conte Malcom. La
moglie di Malcom, Charlotte, riferisce ad Anne che Fredrik si è incontrato con
Desirée, proprio mentre questa decide di organizzare una grande festa nella
residenza materna a cui tutti saranno invitati. Durante la sfarzosa cena ognuno
cerca di riconquistare il proprio amato, in un sottile gioco trasversale in
cui, alla fine, sarà l’amore a prevalere. Premiato al Festival di Cannes del
1956 con un premio speciale all’umorismo poetico, è il film che impose e rivelò
definitivamente al mondo il nome del giovane nuovo autore svedese, Ingmar
Bergman. Strutturato come un’elegantissima “ronde”
sentimentale, che rimanda sia a Ophuls sia al Renoir de La regola del gioco, oltre che, ovviamente, a Shakespeare (a
partire già dal titolo), è una giostra tragicomica di amori e destini
incrociati, magicamente sospesa tra commedia raffinata e dramma psicologico. Illuminato
dalla grazia, ma con un perfido retrogusto acre che contiene anche sfumati
presagi di morte, è un geniale vaudeville
che alterna divertenti frivolezze a lucidi intellettualismi, in una dimensione
gioiosa di sublime fascinazione allegorica. Oltre a quelli già citati, la
pellicola ha anche altri ascendenti “colti”: Strindberg e Merivaux, per citare
solo i più facili, ma la critica ne trovò molti altri. Riprendendo il tema
dell’amore e delle sue varianti (già trattato in molti film precedenti, ma mai
con tanta divertita spregiudicatezza e tanta raffinata eleganza), Bergman
aspira, evidentemente, al “racconto filosofico”, dietro la leggerezza di una
commedia di apparente (e perfino compiaciuta) “fatuità”. Straordinarie le
suggestioni liriche del paesaggio nordico e brillantissime le interpretazioni
di un cast in gran forma, che annovera Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, Ulla
Jacobsson e Harriet Andersson (alla sua quinta collaborazione con il regista). Da
mostrare a tutti coloro che sostengono che Bergman non sia portato al registro
leggero e comico, tra i cui non numerosi esponenti questo è il suo indubbio
capolavoro. Nella versione italiana la censura impose di trasformare Henrik da
figlio a nipote di Fredrik Egerman, altrimenti la sua attrazione per Anne
sarebbe risultata troppo scandalosa per la morale dell’epoca.
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