Jack
Crabb, un vecchio di 121 anni, rievoca con un giornalista la sua vita avventurosa
nel selvaggio West. Cresciuto dai Cheyenne insieme a sua sorella più piccola,
dopo che i due erano sopravvissuti ad un feroce attacco di predoni indiani, il
nostro ritorna tra i bianchi da giovanotto, scopre (in ritardo) i fondamenti
religiosi, i piaceri del sesso e finisce arruolato nell’esercito del generale
Custer. Disgustato per gli eccidi gratuiti commessi dai soldati a danno di
donne e bambini pellerossa, Crabb partecipa alla leggendaria battaglia di Little
Big Horn ma si schiera dalla parte degli indiani, cercando di uccidere
personalmente il generale Custer. Western anomalo e revisionista di Penn,
tratto dal romanzo omonimo di Thomas Berger. Esattamente come il più cruento e
controverso Soldato blu (1970) di
Ralph Nelson, appartiene alla categoria di quei western “contro”, di gran moda
all’inizio degli anni ’70 quasi a mo’ di postumo risarcimento morale, che si
pongono totalmente dalla parte dei nativi condannando le violenze e le barbarie
commesse dai bianchi usurpatori che li hanno privati delle terre, della vita e
della libertà, cancellandoli per sempre dalla storia e relegando i superstiti
allo sterminio in un misero ruolo marginale. L’intento, effettivamente nobile
ancorché giusto, rischia però di scadere nel medesimo (ma contrario) manicheismo
“a tesi” dei vecchi western mistificatori che celebravano l’eroismo dei nobili
bianchi contro i feroci selvaggi indiani. Il film di Penn, sospeso tra
iconoclastia dissacrante, avventura picaresca e romanzo tragicomico, procede
come un treno nella notte con la sua disamina pro-nativi, attraverso la
denuncia dei massacri e l’esplicitazione della loro antica cultura, spazzata
via dalla furia imperialista dei bianchi. Un pizzico di sfumata ambiguità in
più e qualche ulteriore tonalità di grigio avrebbero giovato alla resa
complessiva. Ottenne comunque un buon successo di pubblico all’inizio dei
trasgressivi e ribelli anni ’70, anticonformisti per vocazione, ma, rivisto
oggi, le sue ingenuità sono impietosamente evidenti. Nel cast svetta Dustin
Hoffman, all’apice del suo sfrenato trasformismo, accompagnato da Martin
Balsam, Richard Mulligan, Chief Dan George, Jeff Corey e Faye Dunaway, che fa
una piccola apparizione nel ruolo di una prostituta ed omaggia la celebre
sequenza di seduzione de Il laureato
(il sedotto è, ovviamente, sempre Dustin Hoffman!).
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