Il
26 maggio 1828 a
Norimberga viene ritrovato un giovane lacero, tonto, abbandonato, inebetito,
incapace di parlare a parte un’unica frase che ripete ossessivamente e abile a
scrivere solo il suo nome: Kaspar Hauser. Egli ha in mano una lettera anonima
dove è scritto che è stato abbandonato dalla madre e allevato da un contadino.
In breve si accende la curiosità intorno al ragazzo selvaggio, che diventa
oggetto di studi: per alcuni è un fenomeno da baraccone, per altri è figlio
illegittimo di qualche nobile famoso, per altri ancora è un poveraccio da
ospitare nel tentativo di educarlo e di fargli conoscere il mondo. La
personalità di Kaspar è misteriosa, ribelle, reticente ma anche affascinante: a
parte gli enigmi sulla sua identità egli dimostra di possedere doti artistiche in
balia di un puro istinto, senza alcuna capacità di controllo razionale.
Passando attraverso mille peripezie e umiliazioni, il nostro finirà ucciso da
un vagabondo e gli studi continueranno anche sul suo cadavere, nel morboso
tentativo di fare finalmente luce sull’enigma. Ma chi era veramente Kaspar
Hauser ? Ispirandosi ad un fatto storico realmente accaduto ed al relativo caso
che, nel corso dei secoli, ha interessato diverse personalità della scienza e
della cultura, Herzog ha tratto un formidabile apologo ermetico e visionario
sul tema dell’identità, sulla paura del diverso, sul confine sottile tra
morbosità e compassione e sul relativismo del giudizio scientifico, morale e
ideologico e da come questo dipenda fortemente dalle norme sociali, religiose e
giuridiche del tempo e del luogo. Ambiguo e spiazzante, provocatorio e
sfuggente, il Kaspar Hauser di Herzog è un diabolico sermone sull’inganno e
sull’indeterminazione, ma anche un sottile atto di accusa verso l’uomo e i suoi
dogmi, i suoi schematismi che spesso agiscono a danno del prossimo in nome
della ricerca della verità. Tra suggestioni cristologiche e naturalismo
onirico, l’autore traccia un’oscura parabola di angoscia e di morte, che fissa
lo sguardo su un’anomalia per raffigurare l’imprevisto e l’inadeguatezza del
metodo positivistico rispetto al mistero ineffabile della natura umana.
Straordinaria interpretazione del tedesco Bruno Schleinstein, realmente
cresciuto orfano tra riformatori e carceri, nel ruolo di Kaspar e memorabile la
sequenza del confronto tra i due pastori luterani e il professore di
matematica. E’ un film magistrale e di sottile profondità psicologica,
vincitore di tre premi al Festival di Cannes del 1975, ma che potrebbe
sicuramente apparire ostico al pubblico mainstream
poco avvezzo ai tempi e ai modi del cinema d’autore. La vicenda di Kaspar
Hauser è stata oggetto di diverse rappresentazioni artistiche e letterarie, non
ultima una stravagante pellicola italiana di Davide Manuli, La leggenda di Kaspar Hauser (2012), con
Vincent Gallo, Claudia Gerini, Silvia Calderoni, Elisa Sednaoui e Fabrizio
Gifuni.
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