Una
troupe giapponese arriva a Cinecittà e chiede, ottenendola, un’intervista a Federico
Fellini, in cui il grande regista rievoca la sua vita e la sua carriera, in un
lungo flusso di ricordi e di aneddoti tra passato e presente. Da quando,
giovane provinciale un po’ timido appena sbarcato a Roma, si recò agli studi di
Cinecittà per intervistare una diva e rimase affascinato dal quel mondo magico
di sogni e di illusioni. Fino alle leggendarie riprese de La dolce vita, il cui racconto culmina con un incontro, trent’anni
dopo, tra Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, indelebili protagonisti della
memorabile sequenza notturna nella Fontana di Trevi. Nato inizialmente come
programma televisivo, fu poi convertito in film per la tv e, successivamente,
come film cinematografico, come se l’autore si fosse gradualmente innamorato di
questo strano esperimento, improntato al più esibito autobiografismo, e che può
essere descritto come una sorta di taccuino di appunti, di idee, di fantasie,
di ricordi, che mescola rievocazione di momenti vissuti e (come al solito
finto/vero) diario di lavoro in presa diretta. Per molti è un Fellini minore,
che rielabora e reinventa antichi schemi, un cordiale e già noto affabulatore
che racconta, ancora una volta e con imprevedibili varianti, storie della sua
vita a un pubblico di affezionati ascoltatori, che lo amano più per come narra
che per ciò che narra e che, in fondo, già conoscono alla perfezione. Però
quanta grazia, quanto brio, quanta festosa esuberanza alternata a disarmante
malinconia in uno spudorato e mirabolante gioco di prestigio del più grande
“mago” del cinema italiano, ancora una volta impegnato ad ammaliarci,
intrattenerci, confonderci, incantarci con l’estro ed il genio di cui soltanto
lui è depositario in cotanta misura. Tra ironia e narcisismo, nostalgia ed
entusiasmo, Fellini si mette nuovamente in scena tra vero e falso, serio e
faceto, per celebrare il suo mondo e, soprattutto, la grande magia del cinema
che per lui è sempre stato carosello, circo, festa, sarabanda, allegoria
grottesca, carrozzone di meraviglie, volgarità scanzonata, ricettacolo di
ricordi, diario sentimentale, trasfigurazione fantastica, sogno ad occhi
aperti. Nato come un film racconto basato su eventi reali, finisce per essere
l’ennesimo atto felliniano di volo liberamente fantastico, in cui tutto è
possibile e tutto è falso, ma anche tutto è vero, sul filo sottile tra sogno e
realtà. Presentato fuori concorso al 40º Festival di Cannes, vide riconoscere
al grande regista il Premio speciale del 40º Anniversario, in onore della sua sfavillante
carriera. E’ ovviamente imperdibile per i fans dell’autore e merita un doveroso
recupero.
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