Film
a episodi, apparentemente sconnessi, ma in realtà correlati attraverso la
struttura dell’effetto domino, con i personaggi che, più o meno casualmente,
entrano in scena introducendo il segmento successivo. Si parte con un prologo
storico ambientato nel 1808, con i soldati napoleonici che invadono la Spagna e fucilano dei
patrioti e si prosegue con una grottesca rapsodia dell’assurdo: un uomo che
mostra ai bambini foto oscene dei monumenti parigini, un prefetto che riceve
telefonate dalla sorella morta, preti che giocano a poker con i santini, un
folle che spara sulla gente e poi firma autografi come una star, una scolaresca
di gendarmi che si comportano come bimbi monelli, un pranzo tra borghesi in cui
si mangia voracemente in solitudine per poi socializzare nel momento di
defecare. Il penultimo film del grande vecchio di Calanda è uno dei suoi lavori
più ostici, spigolosi, dissacranti, spiazzanti, ma anche geniali, corrosivi,
divertenti, impietosamente tragicomici nel ribadire impudentemente la mancanza
di senso, il trionfo dell’illogico e il fallimento dei modelli sociali
borghesi, persi nella futilità di un vacuo conformismo. Provocatorio e
dissennato, aspramente inconciliato (e inconciliabile), ma anche serafico nella
calma olimpica della saggezza illuminata, va letto come un potente e giocoso divertissement del vecchio Maestro, che
attraverso la struttura a gag (alcune
delle quali di irresistibile forza farsesca), fa un riepilogo (in pillole) di
tutti i suoi temi, con un umorismo graffiante che si muove costantemente sul
filo del paradosso surreale in un ultimo supremo sberleffo alla logica
benpensante. Profanando dogmi, abbattendo luoghi comuni, rinnegando l’approccio
razionale, rovesciando le convenzioni sociali, trasformando il senso in “contro-senso”
e sdoganando i tabù inconfessabili, Buñuel insegue (da sempre) il proprio
sembiante (fantasma) di libertà. Libertà artistica, ideologica, politica,
religiosa, stilistica. Libertà di rinnegare (e negare) persino il suo stesso
concetto e, al tempo stesso, di inneggiare al suo valore attraverso coraggiosi
atti di profanazione, di disallineamento, di dissenso, di affermazione di un
(dis)ordine altro rispetto alla dottrina ufficiale. E, alla fine, è nei piccoli
insignificanti gesti irrazionali che l’uomo riesce a cogliere autentici lampi
di libertà, intesa come autentica espressione del proprio io a discapito di
sovrastrutture limitanti imposte dall’esterno. Come il signor Foucault che si
perde nella contemplazione di un ragno o il carro armato che insegue la volpe
nella campagna. La vera libertà sta, forse, nel non limitare la propria
fantasia, nel rifiutare i limiti, per perdersi in un altrove irrazionale dove poter
cogliere fugaci barlumi di vero attraverso esperienze sensoriali che esulano il
controllo della ragione e della morale. Ed è proprio questo che Buñuel sembra
dirci, freudianamente, in questo film allegoricamente dissennato, ma, forse,
ben più semplice di quello che potrebbe apparire ad una visione superficiale. Nel
ricco cast internazionale segnaliamo Adriana Asti, Julien Bertheau, Jean-Claude
Brialy, Adolfo Celi, Michael Lonsdale, Monica Vitti, Michel Piccoli, Milena
Vukotic e Jean Rochefort. E’ un film affascinante ed impervio per amanti
irriducibili del surrealismo estremo. I mainstreamers
possono tranquillamente stare alla larga.
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