Attraverso
la lettura di un diario, una ballerina del Teatro dell’Opera di Stoccolma,
Marie, ricorda un’estate al mare di tredici anni prima, quando visse un amore
intenso e felice con il giovane Henrik, poi morto prematuramente in un tragico
incidente. Travolta dall’onda dei ricordi e delle emozioni, la donna entra in
crisi e sembra soccombere alla nostalgia, ma poi decide di reagire e di
affrontare la realtà, raccontando tutta la vicenda al suo attuale fidanzato,
David. Il decimo lungometraggio di Bergman è, probabilmente, il più coeso e il
più lucido del suo primo periodo artistico. Attraverso questo vibrante ritratto
di una donna che rievoca un lontano amore, fa un bilancio dei propri errori e
cerca di trarre da tali riflessioni una speranza per il futuro, si segnala la straordinaria
capacità dell’autore di penetrazione della psicologia femminile, oltre che la fulgida
sensibilità paesaggistica che il regista svilupperà sempre più nei film
successivi. Il mito dell’estate irripetibile che segna per sempre una vita
viene tratteggiato con struggente potenza malinconica, attraverso immagini di
austero rigore e di luminosa bellezza. Il giovane regista non ha paura di
“denudare” il suo cuore per mostrare il suo profondo mondo interiore, passando
da un soffuso lirismo erotico a graffi polemici contro la religione, con uno
stile narrativo che evidenzia il naturale contrasto tra la tensione umana alla
felicità e l’inevitabile presenza del dolore che tende a mortificarne l’ardore,
sancendo così l’estrema fugacità della giovinezza. Splendido il commento
musicale con brani di Chopin e Čiajkovskij.
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