Detroit, anni '90. Jimmy Smith detto "Rabbit" è un ragazzo bianco dei sobborghi periferici, vive in una roulotte con la madre sgallettata, alcolizzata e depressa cronica e con la sorellina che ama con tutto sè stesso, lavora come operaio in una fabbrica di carrozzerie automobilistiche e di notte fa il rapper nei locali del suo ghetto con il sogno di sfondare nella musica hip hop. Tra l'amore per la bella Alex, ragazza sexy e complicata, una inattesa vincita alla lotteria della madre, le delusioni della vita quotidiana e la sua congenita paura di affrontare il palcoscenico, "Rabbit" deve trovare il coraggio per mettere in gioco le sue ambizioni in duello rap all'ultima rima. Dramma biografico musicale di Curtis Hanson, ispirato alla vita del rapper Eminem prima di diventare famoso, che qui interpreta con efficace adesione realistica il protagonista "Rabbit", un bianco reietto che deve combattere contro il degrado del suo inferno sociale, ai margini del Sogno Americano, e contro l'ostilità dei suoi simili, rapper neri che non vedono di buon occhio l'intrusione di un bianco nel "loro mondo" di rabbia e di dolore urlata in un microfono a forza di rime, invettive e turpiloqui. La ricostruzione ambientale è cruda, verosimile e adeguata, la fotografia livida di Rodrigo Prieto incornicia con cupa densità questo universo di ordinario squallore popolato da perdenti arrabbiati, il ritmo narrativo è agile e scattante, la regia "invisibile" ha il merito di demistificare gli ideali testosteronici della cultura hip hop e il resto lo fanno le buone interpretazioni del cast (Eminem, Kim Basinger, Brittany Murphy, Taryn Manning, Mekhi Phifer, Michael Shannon), tutti credibili e intensi nei rispettivi ruoli. Interessante l'idea di girare il duello rap con i tempi ed i modi aggressivi di un incontro di boxe, fatto di parole al posto dei pugni. Quello che però manca è un punto di vista più obiettivo e sereno in questa truce epopea unilaterale dei miserabili suburbani, spesso troppo effettistica, turgida e non priva di furbizia nel suo ammiccamento commerciale ai gusti musicali delle nuove generazioni. La definizione di "musicarello" all'americana aggiornato alla volgarità dei nostri tempi, che alcuni critici gli hanno riservato, è chiaramente esagerata, ma possiede anche un piccolo fondamento di verità. La "8 Mile" del titolo si riferisce alla strada di Detroit che divide il centro dalle periferie, con particolare riferimento ai quartieri ghetto abitati dai bianchi. Il film ha vinto un Oscar alla miglior canzone ("Lose Yourself" di Eminem, Jeff Bass e Luis Resto) e va visto rigorosamente in lingua originale con sottotitoli, per l'impossibilità di tradurre degnamente la miriade di slogan, espressioni idiomatiche, frasi in slang e sfumature linguistiche legate fortemente al contesto sociale.
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