giovedì 3 agosto 2017

Addio mia concubina (Ba wang bie ji, 1993) di Kaige Chen

Douzi e Shitou sono due grandi attori cinesi, amici fin dall'infanzia quando, sotto la guida del severissimo maestro Guan, hanno appreso con grandi sacrifici e privazioni la dura arte della recitazione su palcoscenico. Già dall'inizio, per incontestabile volere del loro tutore, Douzi è stato scelto per interpretare ruoli femminili, in cui si è specializzato con notevole dedizione e indubbio talento. Il loro pezzo forte è la tragedia "Addio mia concubina" in cui Shitou è il re Xiang Yu, mentre Douzi è la sua concubina che lo ama così tanto da togliersi la vita pur di restargli fedele fino all'ultimo istante. Douzi si immedesima a tal punto nella parte da iniziare a confondere finzione e realtà, ed a provare dei sentimenti ambigui per il suo caro amico. Quando Shitou s'innamora della bella prostituta Juxian, Douzi avverte una rabbiosa gelosia e, ferito nel cuore, sembra perdere completamente la testa. Intanto, a mano a mano che i due attori crescono e gli anni passano, la Storia cinese passa sullo sfondo con i suoi eventi epocali: dalla fine dell'invasione giapponese al difficile dopoguerra, dal comunismo alla Rivoluzione Culturale di Mao. Tratto dall'omonimo romanzo di Lilian Lee, Addio mia concubina, unanimemente applaudito dalla critica internazionale e premiato al Festival di Cannes con la prestigiosa Palma d'Oro, è forse uno dei film cinesi più famosi in assoluto nel mondo occidentale e anche nel nostro paese. Melodramma fiammeggiante a sfondo politico, è una struggente rievocazione malinconica della storia del teatro dell'Opera di Pechino, tra glorie e miserie, che si snoda attraverso 50 anni di accadimenti storici che hanno cambiato per sempre l'assetto sociale, economico e culturale della Cina. Forte della sontuosa fotografia di Gu Chang Wei e della grande recitazione degli attori (in cui spiccano Leslie Cheung e Gong Li), il film si pone come un potente affresco figurativamente abbagliante che riflette sul dualismo tra arte e vita, sul rapporto tra persona e personaggio, il cui confine in certi casi può diventare talmente sottile da apparire indistinguibile e dar vita ad un'unica dimensione astratta (fuori dallo spazio e dal tempo), in cui le regole vengono unicamente stabilite dai sentimenti e dalle emozioni degli interpreti coinvolti, una sorta di altrove magico e mitico dove ideale e reale si incontrano e il tutto diventa una soggettiva del proprio mondo interiore. Tra enfasi e intimismo, quest'opera di Kaige Chen è un film a due livelli: quello privato e teatrale è un travolgente melò di pittorica ricchezza visiva, di alta poesia e di struggente carica emotiva, caratterizzato da sequenze di purissimo cinema lirico e tragico di ipnotica suggestione e di mitologico simbolismo. Invece il livello storico e politico che fa da sfondo, ma che sembra comunque interessare molto all'autore (intellettuale cinese vissuto a lungo in Occidente e quindi dal pensiero libero, e caustico, nei confronti della storia recente del suo paese), è più canonico, più didascalico, meno ricco di estro creativo e non privo di ingorghi retorici. Per tale evidente disarmonia questo film imponente e dalle molte bellezze non può definirsi capolavoro in senso lato, ma resta un'opera di assoluto valore, con un prologo e un epilogo da brividi, tra i più emozionanti visti sul grande schermo negli anni '90.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento