A New York un metodico serial killer uccide giovani omosessuali con un coltello, ne smembra i corpi e poi getta i resti nel fiume Hudson. L'agente Steve Burns, che fisicamente corrisponde al modello di vittima preferito dall'assassino (trentenne, moro, altezza media), si infiltra sotto copertura negli ambienti dei locali gay della "grande mela", spacciandosi per uno di loro, con la speranza di stanare il maniaco. Durante l'indagine Burns ha modo di conoscere meglio il mondo dei così detti "diversi", ne capisce meglio la mentalità liberandosi dai preconcetti e si rende conto che gran parte dei suoi colleghi lavorano all'indagine più per odio verso i gay che per catturare l'omicida. In breve il nostro matura nuove consapevolezze e inizia a dubitare del suo reale orientamento sessuale. Tratto da un libro inchiesta del reporter Gerald Walker, ispirato a veri eventi di cronaca, questo cupo thriller metropolitano di Friedkin è un dramma intimista sull'identità sessuale, un oscuro apologo sulle relazioni patologiche tra eros e violenza ed una ambigua discesa negli abissi della psiche, in cui il sesso diventa, al tempo stesso, territorio di caccia, autoconoscenza personale e paura ancestrale. Torbido, sfuggente, inquietante e spesso indefinibile, quest'opera originale, controversa e poco conosciuta della filmografia del grande regista di Chicago, viene generalmente ritenuta minore rispetto ai suoi capolavori, fu un flop totale alla sua uscita in sala e attirò su di sè un mare di polemiche, soprattutto da parte delle organizzazioni omosessuali che l'accusarono di omofobia per il ritratto (a parer loro) libidinoso, laido e vampiresco che viene fornito dei gay. Ad essere particolarmente criticato fu poi il finale del film, di grande potenza raggelante per la sua natura elusiva e per la vertigine concettuale che produce nello spettatore. Gli omosessuali indignati ci videro (forse comprensibilmente, ma anche semplicisticamente) una chiara associazione tra omofilia e psicopatia e quindi un giudizio profondamente negativo fornito dal regista rispetto al loro modo di vivere la sessualità. Ma non mancarono velenose critiche anche da parte degli eterosessuali, molti dei quali si dissero scandalizzati dalle tematiche della pellicola. Al di là delle discussioni il film è un solido dramma poliziesco denso di sfumature, di zone d'ombra e di sottigliezze psicologiche che, probabilmente, disturbarono non poco il moralismo bigotto degli americani, perennemente a disagio quando viene messo di fronte alla propria coscienza rispetto a problematiche che, pavidamente, finge di ignorare. Per quanto riguarda il baccano sollevato dai gay va detto che un film è soltanto un film, un'opera d'arte che esprime un punto di vista parziale e soggettivo e, mai come in questo caso, sottilmente ambiguo e non di facile interpretazione. Ovviamente chi è molto permaloso ha il diritto di arrabbiarsi ma questo resta un suo problema. Il cast, che schiera Al Pacino, Paul Sorvino, Karen Allen, Richard Cox e Joe Spinell, offre un buon livello medio di recitazione, ottimo nel caso di un tormentato Pacino, egregiamente doppiato da Giancarlo Giannini. Negli anni '90 la pellicola è stata notevolmente rivalutata e quasi tutti ne hanno riconosciuto, con accezione positiva, la subdola chiave di lettura, la personalità narrativa, lo stile ammaliante, il fascino oscuro e il ritratto coraggiosamente anticonformista fornito dell'ambiente gay. Credo poi sia anche inutile sottolineare come il regista non intenda affatto riferirsi a tutti i gay, ma solo a quella piccola fetta che frequenta i locali sadomaso, e questo rende perfettamente l'esagerazione strumentale dei toni polemici verso il film, che è invece da riscoprire.
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