lunedì 28 agosto 2017

La più bella serata della mia vita (La più bella serata della mia vita, 1972) di Ettore Scola

Alfredo Rossi è un industriale romano che esporta illegalmente capitali nelle banche svizzere. A causa di un ritardo trova chiuso l'istituto di credito e non riesce ad effettuare un deposito di cento milioni di lire. Mentre vaga alla ricerca di un albergo viene attratto da una splendida motociclista bionda e si lancia al suo inseguimento con la sua auto di grossa cilindrata. Rimasto in panne per un improvviso guasto al motore in una zona montuosa, il nostro trova riparo in un castello dove viene ospitato per la notte. Qui ritrova la misteriosa bionda, che fa la cameriera nel maniero e dice di chiamarsi Simonetta, e quattro stravaganti magistrati in pensione che, durante la cena, gli imbastiscono uno strano processo, a metà tra il gioco e la sfida. Nonostante qualche titubanza iniziale Rossi accetta la competizione perchè interessato a corteggiare l'avvenente Simonetta che sembra ben lieta della cosa. Durante il dibattimento l'industriale viene riconosciuto colpevole di ogni forma di corruzione, rapacità e persino dell'omicidio del suo predecessore in azienda e i quattro padroni di casa lo condannano a morte senza appello. Ma si tratta davvero di un gioco ? Affascinante commedia surreale che, tra comicità e dramma, si avvale di toni grotteschi ed echi kafkiani per costruire una paradossale satira di costume su certi malcostumi italiani. Non a caso viene scelto come protagonista Alberto Sordi, mattatore insuperabile della commedia all'italiana e maschera di straordinaria versatilità nella rappresentazione simbolica dei vizi del "belpaese". Va però riconosciuto che, in questo caso, la scelta di Sordi, che va sempre sopra le righe con il suo travolgente istrionismo, si è rivelata una nota stonata rispetto alle atmosfere del film, sospese tra il magico, lo straniante, il ridicolo e l'inquietante. Ben più asciutta e calibrata l'interpretazione di quattro vecchie glorie del cinema francese, come Michel Simon, Charles Vanel, Claude Dauphin e Pierre Brasseur, nei panni dei giudici inquisitori. Impossibile non citare altresì la sensuale Janet Agren, così bella da lasciare senza fiato. Particolarmente suggestive le musiche di Armando Trovajoli e le scenografie di Luciano Ricceri. Tratto dal romanzo "La panne. Una storia ancora possibile" di Friedrich Dürrenmatt (ma con un finale completamente diverso e forse addirittura migliore per la sua connotazione fantastica e beffarda), questo film di Scola viene solitamente collocato tra le opere minori dell'autore. Ma, in realtà, trattasi di una sottile ed originale parabola metaforica che ondeggia tra l'assurdo e l'angosciante, una fiaba nera che mescola abilmente il mistery, la denuncia sociale, l'onirico e il metafisico per declamare un roboante e simbolico atto di accusa al "signor Rossi", ovvero all'italiano medio. Scola si conferma un maestro di eclettismo, innovazione e lucida corrosività.

Voto:
voto: 4/5

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