venerdì 25 agosto 2017

OcchioPinocchio (OcchioPinocchio, 1994) di Francesco Nuti

Il ricco banchiere italoamericano Brando Della Valle scopre di avere un figlio illegittimo nato da una fugace relazione con una serva. Il giovane, da tutti chiamato Pinocchio, ha il cervello di un bambino e vive in un ospizio per anziani di cui si occupa assistendoli a modo suo. Quando il padre cerca di inserirlo nel mondo dell'alta finanza, Pinocchio, traumatizzato, scappa con la delinquente Lucy Light, ricercata dalla polizia, e con lei conosce per la prima volta il fuoco dell'amore e il brivido dell'avventura. Inseguiti dagli sbirri sguinzagliati dal truce Della Valle, i due amanti fuggiaschi si arrestano sulla riva di un fiume che segna la frontiera di passaggio verso la piena libertà. Ma non sarà facile attraversarlo. Commedia favolistica in chiave surreale tragicomica, sospesa tra il road movie sentimentale di ispirazione americana e l'elegia ingenua degli sciocchi che erediteranno il mondo grazie alla loro purezza di cuore (e anche qui si potrebbe parlare di un improbabile Forrest Gump de noantri). Progetto ambizioso, pretenzioso, smisurato rispetto alle reali capacità dell'autore, dagli enormi costi produttivi (circa 20 miliardi di vecchie lire con interminabili cause legali tra Nuti, la Cecchi Gori e la Penta distribuzione per arrivare alla fine delle riprese) e interamente girato negli Stati Uniti, è stato uno dei più colossali flop del cinema italiano (snobbato dal pubblico e massacrato dalla critica) che ha segnato l'inizio del vertiginoso declino della carriera di Nuti dopo l'esagerato successo ottenuto con le sue leggerissime commedie romantiche degli anni '80. Tra iperbolici riferimenti alla celebre favola di Collodi (sulla quale diversi registi si sono rotti le ossa, vedi Spielberg o Benigni), frenetiche scene di azione, uno stile registico esagitato e delirante, la contaminazione infausta di generi ed una comicità che cerca la poesia malinconica ma si traduce in una stucchevole caricatura del Nuti attore, il risultato finale è un velleitario guazzabuglio caotico e sgangherato, che spesso irrita e per il resto annoia. L'arroganza concettuale di un autore messo alla berlina dal suo stesso ego artistico spropositato, ha trovato in questo film inconcludente il suo patetico tripudio e il suo logico naufragio, costringendolo ad un risveglio amarissimo, scioccante ma altresì inevitabile. L'unica nota lieta di questo maldestro harakiri cinematografico è l'interpretazione magnetica e luminosa di Chiara Caselli, quasi sempre nuda in scena ma capace di trasmettere una prorompente carica di vitalità, sensualità e tenerezza.

Voto:
voto: 1/5

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