lunedì 28 agosto 2017

In nome della Legge (In nome della Legge, 1949) di Pietro Germi

Sicilia, 1948: Guido Schiavi, giovane magistrato di poca esperienza è inviato come pretore in un paese dell'entroterra per combattere la mafia locale. Accolto con ostilità e diffidenza da tutti tranne che dal giovane Paolino, il funzionario si trova subito coinvolto in un'indagine per omicidio che si dimostra impervia a causa della diffusa omertà dei cittadini, tutti sottomessi al potente barone Lo Vasto, padrone della solfatara che dà lavoro all'intero paese. Quando il barone decide di chiudere la miniera, Schiavi si batterà come un leone per far rispettare la legge e cercare di salvare tante famiglie dalla disoccupazione. Straordinaria, spettacolare e avvincente opera di Germi, tratta dal romanzo autobiografico "Piccola pretura" del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo, capace di fondere magistralmente la denuncia sociale, l'impegno civile, la testimonianza storica e il dramma d'azione poliziesco. Il regista si conferma narratore di classe sopraffina nel mantenere in equilibrio i toni, gli umori e le contaminazioni di questo film vigoroso ed entusiasmante che è girato esteticamente come un western fordiano (con evidenti ammiccamenti al capolavoro assoluto Sfida infernale). Al posto delle desertiche vallate del vecchio West ci sono gli scenari aspri e infuocati delle aree interne siciliane, la lotta tra mafiosi e difensori della legge sostituisce quella tra banditi e sceriffi, il personaggio di Guido Schiavi sembra ricalcare a tratti quello di Wyatt Earp, con l'interpretazione di Massimo Girotti che spesso imita quella di Henry Fonda nei silenzi e negli sguardi fissi in macchina da presa. E' anche un film storicamente importante nella nostra cinematografia in quanto magnificamente "primo". Primo film nostrano a parlare esplicitamente di mafia (intesa come organizzazione criminale, mentalità atavica e connivenza sociale) e primo "western" italiano del periodo post bellico (il primo in assoluto fu Una signora dell'Ovest (1941) di Carl Koch). Il finale fortemente ambiguo costò aspre critiche al regista per la presunta rappresentazione "romantica" del fenomeno mafioso, regolato da regole tribali e concetti di onore discutibili ma, al tempo stesso, degni di rispetto per l'assoluta "fede" che gli adepti ripongono in essi. Tutto questo va però a confermare il coraggio, la libertà creativa e la personalità artistica di un autore tra i più grandi del nostro cinema, capace di scrivere pagine indimenticabili nella storia della "settima arte". Da elogiare l'intero cast, che annovera Massimo Girotti, Charles Vanel, Saro Urzì, Camillo Mastrocinque, Jone Salinas e Umberto Spadaro. Nonostante le polemiche (talvolta strumentali) il film ebbe un notevole successo di pubblico e va annoverato senza alcun dubbio tra i capolavori di Germi.

Voto:
voto: 4,5/5

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