mercoledì 23 agosto 2017

Primo amore (Primo amore, 1978) di Dino Risi

Ugo Cremonesi, detto "Picchio", vecchio divo dell'avanspettacolo ormai in disarmo, senza lavoro e con poca fiducia nel futuro, si rintana in una casa di riposo per artisti anziani di nome Villa Serena. L'incontro con la bella e disinvolta Renata, che fa la cameriera nell'ospizio ma possiede il fisico e la spudoratezza giuste per fare strada, restituisce vitalità all'annoiato "Picchio" che, dopo aver incassato i sette milioni di liquidazione a lungo attesi, si lancia a capofitto in una patetica storia d'amore con la ragazza, con la promessa di lanciarla nel mondo dello spettacolo come nuova soubrette. Alla fine i soldi finiranno, Renata avrà successo seducendo un dirigente televisivo e "Picchio" farà mesto ritorno a Villa Serena. Commedia pungente sotto forma di malinconica satira profondamente amara, diretta da Dino Risi con briosa perfidia e leggibile a più livelli: la difficile accettazione della vecchiaia, la dolorosa uscita di scena di un artista sul viale del tramonto, la morte di quello che fu il glorioso avanspettacolo ed il cinismo arrogante delle giovani "prede" femminili che usano il loro fascino per irretire attempati mentori, sfruttandoli per una rapida carriera. L'immorale sottobosco dello showbiz è descritto con acido disincanto e tutti i personaggi sono egregiamente caratterizzati, privilegiando anche quelli di contorno. Dallo struggente "Picchio" di Ugo Tognazzi (a cui il grande attore ha donato la sua autentica ossessiva depressione nell'incapacità di tollerare l'inevitabile decadenza della terza età), alla maliziosa Renata di Ornella Muti (sensuale e come sempre generosa nell'esibizione delle sue grazie), senza dimenticare il severo direttore dell'ospizio di Mario Del Monaco e la svampita ex diva del varietà di Caterina Boratto. Generalmente catalogato tra le opere minori di Risi, è invece un film carico di nostalgica mestizia e di lucida rassegnazione sulla fine di un'epoca, che non lesina graffi polemici alla bieca invadenza delle televisioni commerciali ed alla flessibilità morale delle nuove tigri da palcoscenico, aizzate a dovere dalla sbandierata aggressività dei nuovi ideali femministi.

Voto:
voto: 3,5/5

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