mercoledì 2 agosto 2017

Vi presento Joe Black (Meet Joe Black, 1998) di Martin Brest

William Parrish, potente magnate dei mass media, sta per compiere 60 anni e sta preparando una grande festa nella sua lussuosa residenza insieme alla famiglia e agli amici. Ma il nostro da alcuni giorni si sente confuso, avverte delle strane sensazioni fisiche e ode delle voci misteriose di cui non capisce la provenienza. Attribuendo il tutto allo stress derivato dall'imminente acquisizione della sua azienda da parte di una grande holding, Parrish cerca di non pensarci e decide di non parlarne con nessuno. Ma una sera un giovane bellissimo ed enigmatico, che dice di chiamarsi Joe Black, si presenta alla sua porta dicendo di volergli stare vicino per i prossimi giorni. Sorpreso dal modo di fare del misterioso Black, che sembra sapere tutto di lui e ostenta una glaciale sicurezza, Parrish decide di accettare, intuendo quello che poi capirà di lì a poco. Black è la Morte che ha assunto forma umana e che ha deciso di avvertirlo che la sua ora è vicina. Dopo l'iniziale shock il ricco gentiluomo accetta la macabra compagnia e cerca di dedicarsi attivamente alle cose importanti (gli affetti) nel poco tempo che gli rimane. Ma tutto si complica quando la sua adorata figlia Susan si innamora perdutamente di Joe Black, che, colpito dalla bellezza e dalla sensibilità della ragazza, la asseconda con un misto di curiosità e trasporto. Insulso polpettone hollywoodiano, remake di La morte in vacanza (Death Takes a Holiday, 1934) di Mitchell Leisen, a sua volta tratto dal dramma teatrale di Alberto Casella, è un lungo, serioso e claudicante pastrocchio favolistico sospeso tra sentimentalismo da soap opera, moralismo edificante e retorica dozzinale. Con un po' di sano cinismo è davvero difficile stabilire cosa sia più improbabile: un milionario buono e generoso o la morte che si umanizza per prendersi una vacanza e conoscere meglio le sue vittime. Mi verrebbe quasi da evocare la maggiore probabilità del passaggio del cammello per la cruna dell'ago ma poi, forse, sarei tacciato di blasfemia. Tra melassa lacrimevole, prolissità sfiancanti e buoni sentimenti, mai cast fu più sprecato: Brad Pitt (angelo della morte affascinante e malinconico), Anthony Hopkins (che riesce quasi ad essere credibile persino in questo naufragio narrativo), Claire Forlani (la cui bellezza particolare e sofisticata non giustifica una "sbandata" della "nera signora"), Jake Weber (che appena lo vedi in scena già capisci che "gatta ci cova") e Marcia Gay Harden (niente da annotare alla sua impeccabilità). Forse, e dico forse, potrebbe piacere alle avide lettrici di Liala o della saga di "Twilight" targata Stephenie Meyer.

Voto:
voto: 2/5

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