Enrico, suonatore d'oboe alla Fenice di Venezia col sogno mai realizzato di diventare un direttore d'orchestra, è malato terminale di cancro e sa che non gli resta molto da vivere. Decide quindi di invitare la sua ex moglie Valeria, che si è rifatta una vita con un altro uomo, nel capoluogo veneto per trascorrere con lei i suoi ultimi giorni. Ripercorrendo le strade della città lagunare e i luoghi del loro amore, i due ritrovano barlumi della felicità passata e capiscono che il loro sentimento non è del tutto spento. Clamoroso esordio registico dell'attore Enrico Maria Salerno che, con questa pseudo "copia" raffinata e malinconica del celeberrimo Love Story, ottenne uno straordinario ed impensabile successo di pubblico nel nostro paese, totalizzando il quarto incasso stagionale assoluto e superando addirittura di gran lunga l'originale americano. Melodramma strappalacrime diretto con furbizia nel suo ondeggiare tra struggimento e nostalgia, utilizza abilmente tutti gli ingredienti del sentimentalismo patetico ma si avvale altresì di una messa in scena di grande fascino figurativo (la Venezia decadente e funerea splendidamente fotografata da Marcello Gatti), delle convincenti interpretazioni dei due attori protagonisti (Florinda Bolkan e Tony Musante) e della celeberrima colonna sonora di Stelvio Cipriani (accusata di aver plagiato il tema di Francis Lai composto per Love Story) che contribuì non poco al grande successo del film. Snobbato dalla maggior parte dei critici e adorato dal pubblico, possiede, in egual misura, pregi e difetti, e vale come sofferta meditazione sulla vita e sulla morte, in cui le ambientazioni, che assurgono a protagonista aggiunto, diventano un simbolo pregnante della meditazione stessa. Inoltre ci troviamo di fronte ad una sorta di unicum cinematografico: rarissimo caso di "clone" che riesce ad essere meglio dell'originale, già solo sotto l'aspetto stilistico. Se non fosse per il finale così carico di mielosa mestizia avrei addirittura osato una mezza stellina in più. Va altresì ricordato che l'imprevedibile riscontro di pubblico diede non poco alla testa all'Enrico Maria Salerno regista, che in seguito diresse due pellicole pessime per poi capire, saggiamente e fortunatamente, che il suo mestiere era quello di attore.
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