martedì 29 agosto 2017

Il ferroviere (Il ferroviere, 1956) di Pietro Germi

La travagliata vita di  Andrea Marcocci, macchinista delle ferrovie, lavoratore instancabile, uomo burbero con il vizio dell'alcool e una situazione familiare piena di contrasti. La figlia Giulia, da lui spinta a sposare un uomo che non ama, partorisce un figlio morto e, in collera con il padre, si dà a una vita dissoluta. Il figlio maggiore Marcello, sfaticato e coinvolto in loschi affari, dopo i continui litigi decide di lasciare la casa paterna e seguire il suo destino. Solamente la moglie e il figlio minore Sandro restano sempre dalla parte del capofamiglia. L'investimento accidentale di un suicida, che si butta sotto le ruote del treno, e un disastro ferroviario sfiorato, provocano un'inchiesta ai danni di Andrea, che viene abbandonato persino dai suoi colleghi che lo accusano di essere un crumiro. Duramente provato nella psiche e nel corpo, il nostro si abbandona al bere e alle donne di malaffare, fino ad ammalarsi seriamente di cuore. Memorabile e intenso dramma proletario tratto da un racconto autobiografico: "Il treno" di Alfredo Giannetti, autore anche della sceneggiatura insieme a Luciano Vincenzoni e Pietro Germi, che, oltre a dirigere il film, interpreta anche magnificamente il ruolo del protagonista. La lucida potenza dell'affresco sociologico della forza lavoro salariale italiana degli anni '50 è di enorme impatto emotivo, grazie alla straordinaria capacità dell'autore di raccontare i problemi e le contraddizioni del paese attraverso uno spaccato ambientale per poi farlo diventare collettivo, con un'analisi introspettiva di magistrale pregnanza. Per quanto alcuni critici ci abbiano voluto vedere tracce di moralismo sentimentalistico da libro "Cuore", Il ferroviere è il più alto risultato del Germi neorealista, un capolavoro sospeso tra analisi sociale, melodramma familiare, crudo verismo, tragedia esistenziale, calda compassione, delicata poesia e sincera commozione. Il regista si conferma un fuoriclasse come narratore popolare di elevato spessore contenutistico e di fiero impegno civile, sempre in sintonia con i sentimenti del pubblico ed i mutamenti sociali del paese. Tra i tanti temi affrontati nella pellicola vanno ricordati: la difficile condizione del proletariato, le lotte sindacali, la disgregazione dell'antico modello di famiglia patriarcale dovuta al rapido cambiamento dei costumi e alla maggiore flessibilità degli atavici principi morali, i conflitti intergenerazionali, il contrasto tra tradizione e progresso. In una società ormai protesa verso il boom economico e percorsa da fremiti di emancipazione e rinnovamento, il vecchio ferroviere Andrea Marcocci incarna quell'ideale di uomo all'antica ("col risvolto dei pantaloni", per usare le parole di Germi) ormai obsoleto, reazionario, ingombrante e incapace di adeguarsi alle frenetiche trasformazioni che avvengono intorno a lui. E in tal senso va letto il finale, da alcuni accusato di compiacimento melodrammatico: il tramonto di un'epoca, di un modello sociale e di un'idea di vita. Il grande successo di pubblico diede ragione al regista e dimostrò che, a volte, il gusto popolare riesce a guardare più lontano della critica colta, per via della maggiore libertà da sovrastrutture ideologiche. Nel cast, oltre al protagonista Pietro Germi, vanno citati Sylva Koscina, Luisa Della Noce, Saro Urzì e Carlo Giuffré. Questo film è per molti versi accostabile, per intenti, tematiche e cuore narrativo, ad un altro capolavoro che uscirà quattro anni dopo: Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.

Voto:
voto: 4,5/5

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