venerdì 5 novembre 2021

My Son, My Son, What Have Ye Done (2009) di Werner Herzog

Il detective Hank Havenhurst riceve una drammatica chiamata di servizio: un suo vicino di casa, Brad McCullum, ha ucciso la madre con una grossa spada e si è barricato nell'abitazione con due ostaggi. Attraverso i racconti dei conoscenti si cerca di ricostruire la personalità dell'uomo, la sua presunta depressione e i motivi che possono averlo spinto ad un gesto così estremo. Dramma psicologico a tinte fosche ispirato alla reale vicenda di cronaca nera di Mark Yavorsky, scritto e diretto da Werner Herzog e prodotto da David Lynch. Lo strano incontro artistico tra Lynch e Herzog, due geni indiscussi del cinema moderno, apparentemente diversissimi, è alla base della curiosità sorta intorno a questo film, presentato in anteprima alla 66° edizione del Festival di Venezia. Il risultato del connubio è un'opera inquietante e spiazzante, di notevole malia oscura e di complessa decifrazione logica. Un viaggio nella follia carico di temi psicoanalitici, simbolismi reconditi e connessioni con la tragedia greca e le influenze della Natura sull'animo umano. E' evidente che ci sia molto di Lynch e molto di Herzog in tutto questo, così come è palese che il matricidio sia da sempre (nella letteratura e nel teatro) una tetra allegoria di catarsi, di superamento radicale di ciò che può essere limitante in un rapporto così profondo e complesso, per "evolvere" verso un nuovo stadio del proprio io. Senza fornire esplicite risposte o assumere posizioni nette, l'autore ispeziona in flashback i labirinti della mente di McCullum (interpretato da un impressionante Michael Shannon) e la mette in relazione con due eventi cruciali della sua vita: un viaggio in Perù immerso nella Natura selvaggia (un'esperienza mistica che avrebbe in qualche modo instradato certi percorsi psicologici nell'uomo) e la sua recitazione teatrale nell'Elettra di Sofocle (che termina con un matricidio). Attraverso il triangolo arte-natura-vita questo film misterioso e angosciante si insinua sotto pelle come un sinistro paradigma di morte, sul confine tra ragione e follia, una demarcazione che sembra allegoricamente rappresentata dalla soglia della casa di McCullum. Ed è proprio sulla linea di divisione tra i due mondi, sull'uscio della dimora-mente del protagonista, che Herzog sceglie di fermarsi. Da applausi il cast, che, al già citato Shannon affianca Grace Zabriskie (fedelissima di Lynch), Willem Dafoe, Chloë Sevigny e Udo Kier. L'opera non è da annoverare tra i capolavori dell'autore tedesco, ma è di certo uno dei suoi prodotti più incompresi e sottovalutati.

Voto:
voto: 3,5/5

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