Jong-su è un giovane neolaureato che si arrangia con lavori saltuari e sogna di diventare uno scrittore. Un giorno incontra la bella Hae-mi e i due iniziano una relazione, ma la ragazza è in procinto di partire per un viaggio in Kenya. Al suo ritorno è accompagnata dal misterioso Ben, ricco e attraente, innescando sentimenti di gelosia e invidia in Jong-su, che non si sente all'altezza del "rivale". Dopo un acceso diverbio la ragazza sparisce senza lasciare traccia. Jong-su sospetta di Ben che, intanto, inizia a svelare certe sue strane abitudini, aumentando così il disagio del ragazzo, combattuto tra l'amore per Hae-mi e una strana forma di fascinazione verso il suo antagonista. Dopo otto anni di silenzio Chang-dong Lee ritorna con il suo sesto lungometraggio, liberamente tratto dal racconto breve "Granai incendiati" di Haruki Murakami, realizzando un drama-thriller ipnotico, spiazzante, enigmatico, ineffabile, un'esperienza di straordinaria sospensione simbolica che avvolge (e avvince) lo spettatore per tutta la sua (lunga) durata e da cui è difficile staccarsi, anche a visione ultimata. Una storia apparentemente semplice, un classico triangolo amoroso tra un proletario spiantato e un borghese raffinato, trasformata in una metafora potente, di torbida fascinazione e di mesmerico intreccio, una riflessione ambigua sull'indefinibilità del male, sulla lotta di classe, sulla solitudine nella società moderna, sull'arte manipolatoria del potere, sull'impossibilità di una lettura univoca della realtà, sull'effetto inebriante di un gesto violento. Burning è un finto giallo e una finta storia d'amore, perchè tutto ciò che vediamo (e, soprattutto, che non vediamo) è di natura psicologica più che sentimentale, è un intreccio di negazioni e di suggestioni, è un carosello sfumato di ombre, di maschere e di ossessioni, il cui vero territorio è sul crinale tra il non detto e il non visto (si pensi al gatto di Hae-mi o al discorso iniziale della ragazza sul relativismo dei concetti di presenza/assenza in relazione al nostro pensiero). In questo capolavoro assoluto nulla è superfluo, ogni dettaglio è come una tessera di un puzzle ermetico che concorre al magnifico risultato finale. Un puzzle sfuggente, la cui grandezza è evidente, e il cui senso profondo può essere solo intuito, come un'illuminazione interiore, ma difficilmente spiegato attraverso il linguaggio, perchè se ne banalizzerebbe inevitabilmente la portata allegorica. E' diviso narrativamente in due parti dallo stile diverso, separate da una memorabile (ed emblematica) sequenza iconica: Hae-mi che balla seminuda alla tiepida luce del tramonto sulla musica di Miles Davis, in una sorta di arcano rituale liberatorio. Poesia pura, grandissimo cinema, una lectio magistralis del regista coreano.
Voto:
Capolavoro
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