La famiglia Liberti appartiene all'alta borghesia milanese ed è composta da padre, madre e tre bei figli in giovane età. Nonostante abbiano, in apparenza, tutto ciò che si potrebbe desiderare dalla vita, vivono da isolati nella stessa casa, ciascuno in preda alla propria solitudine e ossessione, incapaci di stabilire un sincero contatto emotivo tra di loro, ma stancamente in balia dell'inerzia quotidiana e dell'ipocrisia di facciata (tutto va bene ma niente va bene). La "circostanza" è un fattore esterno che scuote la coscienza e fa cogliere una diversa prospettiva della vita, un fattore positivo secondo la chiave di lettura di questo film. Ciascuno dei 5 protagonisti avrà la propria "circostanza" ed il proprio "risveglio" interiore, e, nel finale, ci sarà anche una "circostanza" comune a tutti, che aprirà uno spiraglio di cambiamento collettivo nella famiglia. Utilizzando strumenti analoghi a quelli magistralmente espressi ne Il posto (1961), Ermanno Olmi ritorna a leggere, con maggior senso critico e più spiccata enfasi nostalgica, la società italiana, a 12 anni di distanza e con particolare attenzione al modello borghese. Siamo ormai negli anni '70 e le aspettative entusiastiche del boom economico sono tramontate da un pezzo. Gli ideali utopistici di cambiamento del '68 si sono infranti contro le barricate reazionarie, il consumismo ha obnubilato le coscienze, il libero pensiero anticonformista è etichettato come "pericoloso" e la società civile è ostaggio del clima di paura portato da terrorismo, criminalità e strategia della tensione. Ma gli atteggiamenti estremi quali cinismo, odio, terrore, rabbia, restano fuori da questo film-affresco che tende più all'amarezza malinconica che alla disperazione programmatica. E' un film pacato nei toni e frammentato nello stile narrativo (come metafora della frantumazione della famiglia moderna, che ha barattato l'antica unione patriarcale per un egoistico isolamento individuale), pessimistico ma non patetico rispetto alla natura umana e pervaso da un bagliore di speranza, che il regista identifica nella "causa esterna", quasi applicando il principio della prima legge della dinamica di Newton ad un modello esistenziale. Così l'evidente rimpianto per gli stili di vita del passato, più semplici e meno problematici, trova sfogo nella capacità propria dell'uomo di ricominciare e rimettersi in gioco, a patto di ricevere un "aiuto" esterno. L'autore non allude mai a significati religiosi o a contenuti trascendenti, ma, con spirito laico e sguardo artistico, si limita ad osservare gli eventi in divenire, il flusso di vite dei suoi personaggi, i possibili "incidenti" di percorso, gli arabeschi del destino, che possono, a volte, rivelarsi salvifici. Anche se solo per un lasso di tempo limitato. Ma questa, come si dice, è un'altra storia.
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