giovedì 29 aprile 2021

Secondo amore (All That Heaven Allows, 1955) di Douglas Sirk

Cary Scott, vedova ricca ancora piacente e con due figli già grandi, si innamora di un aitante giardiniere molto più giovane di lei. I due si amano davvero, ma i pregiudizi della società perbenista di cui la donna fa parte, i pettegolezzi della gente e la netta opposizione dei suoi figli, l'allontaneranno da lui. Sfavillante melodramma di Douglas Sirk, uno dei suoi più belli, apprezzati e famosi. La raffinata eleganza della messinscena, la vivida fotografia a colori, la sottigliezza del disegno psicologico dei personaggi, l'estrema bravura degli attori e la perfetta ricostruzione ambientale del contesto d'epoca (una delle migliori in assoluto viste nel cinema americano) ne fanno un classico capolavoro senza tempo. La rappresentazione patinata della società americana benestante e conformista degli anni '50 è la cifra stilistica più importante del film: fin dalla primissima scena l'autore ci immerge in un'America idealizzata, da cartolina, una sorta di spot pubblicitario di buone maniere e buoni sentimenti, esaltato dal prezioso risalto cromatico della confezione estetica sgargiante (così abbacinante che sembra quasi "bucare" lo schermo). Più che di una semplice storia amorosa, All That Heaven Allows ci parla dell'incontro-scontro tra due mondi diversi, di pregiudizi, convenzioni, classi sociali, scelte difficili e, ovviamente, sentimenti tormentati. Il forte contrasto tra ciò che è e ciò che appare, metterà immediatamente in crisi il modello di "vita perfetta" che ci è stato finora mostrato dal regista, attuando così il suo perfido twist, che manda in frantumi la vacua immagine di una società da prima pagina di rivista di moda, sostituendola con l'amaro della vita. L'impietosa critica alla falsità morale di una collettività vuota e bigotta, così pavida da necessitare della sua corazza di galatei e ipocrisie, è tanto lucida quanto affilata. Tra gli amori impossibili dei film di Douglas Sirk, questo è uno dei più struggenti, perfettamente incorniciato dai giochi stilistici di luci e ombre in cui l'autore (re del melodramma) era maestro. E come nei suoi film migliori anche in questo prende vita la magia del suo stile: un sontuoso racconto attraverso magnifiche immagini che, guardando oltre la bellezza della forma, esplora la natura umana analizzando il sottinteso, il non detto, quella conturbante passione che striscia sotto pelle, e che, nelle opere di Sirk, conta più dei dialoghi e della trama. Roba per palati fini. Il cast è superlativo con Jane Wyman, Rock Hudson, Agnes Moorehead, Conrad Nagel, Virginia Grey, Gloria Talbott. Il film, molto amato anche oggi da registi e cinefili, ha avuto due splendidi pseudo-remake: La paura mangia l'anima (1973) di Rainer Werner Fassbinder e Lontano dal paradiso (2002) di Todd Haynes.

Voto:
voto: 4,5/5

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