domenica 25 aprile 2021

Il club (El Club, 2015) di Pablo Larraín

A La Boca, piccola città sulla costa cilena, quattro vecchi preti sconsacrati e una suora che li accudisce vivono in una casa isolata. I quattro uomini si sono macchiati di colpe terribili durante il loro sacerdozio e hanno scelto un volontario esilio per cercare di espiare i propri peccati. A loro si unisce un nuovo arrivato, padre Lazcano, scomunicato per pedofilia e perseguitato da una delle sue vittime, da tutti conosciuto come "Sandokan", un indigente privo di fissa dimora che lo segue in ogni spostamento e gli ricorda i crimini che ha commesso. Lazcano non regge alla vergogna e si suicida con un colpo di rivoltella. Nella casa arriva un giovane psicologo gesuita per indagare sull'accaduto e farà riemergere il terribile passato dei quattro anziani ospiti. Questo doloroso dramma di Pablo Larraín si apre con un'emblematica citazione dal libro della Genesi: "E Dio fece la luce e vide che era cosa buona e separò la luce dalle tenebre", che qui assume un amaro significato sarcastico. La luce in questo film dalla fotografia plumbea è praticamente assente, c'è solo spazio per le tenebre dell'animo dei protagonisti, colpevoli di azioni tremende, rese ancora peggiori dal ruolo spirituale che ricoprivano. Il regista analizza magistralmente questo microcosmo di miseria morale attraverso un dettagliato scandaglio introspettivo, che ci mostra la scottante ferita dei preti cattolici depravati dall'interno, dando finalmente a questo male un volto, uno sguardo, mostrandocene senza remore il lato umano, il groviglio di vizi, fragilità, narcisismi e crisi di coscienza. Il male ha un peso, che col tempo diventa insostenibile, e lascia cicatrici profonde che non si possono rimarginare, nè nascondere, e sono tutte bene in vista sulle facce dei protagonisti, scavate dal senso di colpa e dall'infamia. Infrangendo, con perentorio coraggio e ardente indignazione, il secolare dogma del "silenzio" della chiesa cattolica, l'autore persegue la verità, viviseziona impietosamente la psicologia delle vittime e, soprattutto, quella dei carnefici. E' un film essenziale e necessario nel suo atto di accusa, non anticlericale ma orgogliosamente laico, animato dal senso di giustizia e dalla necessità di spezzare quel tabù omertoso che ancora vige negli ambienti ecclesiastici, nonostante i numerosi proclami pubblici opposti che, in tal senso, suonano quasi beffardi. Una necessità che è anche altamente spirituale, se qualcuno non lo avesse capito. Premiato con l'Orso d'Argento (gran premio della giuria) al Festival di Berlino.
 
Voto:
voto: 4/5

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