Sicilia, 1953. Joe Morelli è un ciarlatone imbonitore che si spaccia per inviato di una grande casa di produzione cinematografica, e va in giro per i paesi siciliani, con un furgone e una cinepresa, facendo provini alla gente in cambio di soldi, illudendoli di poter ottenere fama e ricchezze nel mondo del cinema. Grazie alle sue false promesse seduce una bella ragazza del posto, che perde letteralmente la testa per lui, ma sarà presto smascherato e punito duramente. Quinto lungometraggio di Tornatore, ambientato in una Sicilia antica e vitale, ben impaginata dalla bella fotografia virata in ocra di Dante Spinotti. C'è già un sapore di ripetizione, di déjà-vu, con l'autore siciliano che sembra fossilizzato nella "citazione" continua di sè stesso. Le cose migliori sono la magnifica sequenza dell'occupazione delle terre (in cui Tornatore si ricorda di essere l'ultimo narratore epico rimasto nel cinema italiano) e i provini del fanfarone Morelli (efficacemente interpretato da Sergio Castellitto), da cui emerge uno straordinario campionario di vibrante umanità e che fanno venire in mente i memorabili Comizi d'amore pasoliniani. Poi per il resto il film procede con il pilota automatico, senza grosse sbandate e senza particolari lodi, con qualche macchietta di troppo e qualche forzatura nell'epilogo. Più apprezzato all'estero che in Italia, ha vinto il Premio speciale della giuria al Festival di Venezia ed è entrato nella cinquina finale agli Oscar, in lizza per il miglior film straniero (poi vinto da L'albero di Antonia di Marleen Gorris). Il simpatico cameo di Leopoldo Trieste è un'altra delle cose belle del film. Le musiche del solito "fedelissimo" Ennio Morricone sono, stavolta, di ordinaria amministrazione. E le stelle? stanno a guardare!
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