venerdì 30 aprile 2021

Guilty of Romance (Koi no tsumi, 2011) di Sion Sono

Nel quartiere a luci rosse di Tokyo viene ritrovato un corpo di donna orribilmente mutilato e privo di testa, del quale è difficile l'identificazione. La poliziotta Kazuko Yoshida indaga sui casi di ragazze scomparse e sofferma la sua attenzione su due di queste: Izumi e Mitsuko. La prima, Izumi, è moglie devota di uno scrittore egocentrico e anaffettivo, che le concede solo un rapporto platonico. Repressa e frustrata, la donna si fa irretire dalla misteriosa Mitsuko, che ha una doppia vita: di giorno è una impeccabile professoressa universitaria e di notte si prostituisce nei quartieri malfamati. Mitsuko conduce Izumi in un mondo oscuro e perverso, prima come "attrice" di film porno amatoriali e poi come escort di alto bordo. Izumi si sente finalmente appagata sessualmente e la sua vita cambia prospettiva. Ma ogni cosa ha il suo prezzo e se ne accorgerà ben presto. Torbido thriller ad alto tasso di erotismo e violenza di Sion Sono, un viaggio disturbante (ma esteticamente seducente) nei meandri più oscuri dell'animo umano, tra vizio, trasgressione, depravazione, solitudine e tormento. E' un film nichilista e disperato, del tutto privo di sensualità perchè l'atto erotico viene sempre visto come una necessità compulsiva, un'urgenza feroce, una prestazione cinica, associabile al senso di fallimento interiore, all'incapacità di accettare la vita, di provare empatia verso il prossimo e, quindi, alla ricerca inconscia della morte. Il contrasto tra la crudezza estrema dei contenuti e la splendida impaginazione formale (con immagini ricercate ed un raffinatissimo uso dei colori) è straniante e induce un senso di voluttuoso smarrimento, di attrazione e repulsione, alludendo al voyeurismo intimamente connesso alla magia del cinema. Il corpo è uno dei principali elementi su cui l'estetica "feticista" di Sion Sono pone la sua attenzione. Ma stavolta, più che di idolatria stilistica, si tratta di uno sguardo estremo, tragico, angosciato, che intende esprimere il profondo disagio collettivo della società giapponese, un intimo senso di alienazione, di isolamento, di inadeguatezza, dal quale non esiste possibilità di purificazione. La caduta negli inferi più profondi della natura umana viene rappresentata con toni da incubo, ambienti lugubri, aggressioni emotive, traumi nascosti, situazioni kafkiane, desiderio di auto-disfacimento per perdersi nel lato oscuro, fino a diventarne parte integrante. C'è una scena, potente, emblematica e a suo modo straziante, in cui Izumi è nuda davanti allo specchio e ripete ossessivamente una frase, scioccamente allusiva, come un mantra sinistro. E' in quel momento che avviene la "metamorfosi", il passaggio al di là dello specchio e l'incontro irreversibile con il proprio dark side. Non a caso una delle fonti di ispirazione del regista è stato "Il castello" di Kafka, la cui forma inconfondibile (e inaccessibile) ricorre in vari momenti del film, alludendo quindi chiaramente a frustrazione, estraniazione ed impossibilità di catarsi. Esistono due versioni del film: quella integrale di 141 minuti e quella uscita in Europa (ma non in Italia), che ha pesanti tagli di circa 30 minuti complessivi. I "coraggiosi" che volessero cimentarsi nella visione, farebbero bene a ricercare la versione completa, perchè chiarisce meglio la sua struttura di intimo dramma sulla vita di tre donne (Izumi, Mitsuko e Kazuko). Invece nella versione "europea" gran parte dei dettagli sul personaggio della detective vengono perduti, rendendola una figura quasi marginale e alterando, quindi, il senso originale dell'opera.

Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento