lunedì 19 aprile 2021

Il tempo dei gitani (Dom za vesanje, 1988) di Emir Kusturica

Il giovane Pehran, timido e ingenuo ragazzo nomade, figlio di una zingara morta giovane e di un soldato che non ha mai conosciuto, vive in una misera baracca con la nonna Khaditza (che lo ha cresciuto e lo ama a dismisura), la sorellina zoppa e uno strambo zio con il vizio del gioco. Respinto dalla famiglia dell'amata Azra per la sua povertà, il ragazzo si fa convincere dal losco Ahmed, capo di una comunità Rom, a seguirlo in un viaggio in Italia. Qui Pehran si trova coinvolto, suo malgrado, nell'organizzazione criminale di Ahmed, che si occupa del rapimento e della vendita di bambini. Per lui sarà la fine dell'innocenza. Il terzo lungometraggio di Emir Kusturica è un capolavoro lirico, visionario, poetico, carico di immagini potenti, inserti onirici, invenzioni visive magistrali, momenti straniti di impagabile dolcezza. Strutturato come un grande romanzo di formazione è idealmente diviso in due parti: la prima è caotica, multi-etnica, chiassosa e vitale. La seconda, nella baraccopoli milanese del ghetto Rom, è tragica, crudele, disillusa, ma ugualmente pervasa da una pulsante vitalità, pur nella sua logica miserabile. E' un film magnifico, vibrante, avventuroso, drammatico e dalle molte bellezze, sospeso tra tenerezza e infamia, magia e degrado, che fa pensare a tanto cinema "alto" del passato: Fellini, Truffaut, Forman, De Sica. Ma, alla fine, è puro Kusturica, con tutta la grazia, la sensibilità, la dignità frugale, il simbolismo stralunato, l'umanità pregnante, l'umorismo surreale e il genio visivo del regista serbo, cittadino del mondo, angelo senza patria, eterno cantore del contrasto tra l'incanto del mondo infantile e la volgarità di quello adulto. L'autore ha tratto l'idea alla base del racconto leggendo una notizia di cronaca sulla vendita di bambini avvenuta in Italia ad opera di un clan Rom. Ha iniziato quindi ad informarsi (e appassionarsi) alla cultura gitana ed all'etnia Rom in particolare, che nel film viene raffigurata con passione, con empatia, ma senza sconti, un lucido ritratto in chiaro scuro che non discrimina e non giustifica. Tantissime le scene memorabili degne di essere ricordate, in particolare la raffigurazione di una Milano inedita, sospesa tra sogno e immaginifico stupore. La pellicola è stata premiata al Festival di Cannes con il Prix de la mise en scène alla migliore regia. Ne esiste anche una versione di 5 ore, adattata per la televisione riutilizzando tutto il materiale girato ed escluso dal final cut. Una versione non firmata dal regista ma da lui approvata.
 
Voto:
voto: 4,5/5

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