venerdì 30 aprile 2021

Il regno d'inverno (Kis Uykusu, 2014) di Nuri Bilge Ceylan

C'è un luogo remoto dell'Anatolia centrale in cui le antiche case sono ricavate nella roccia, con cui formano un tutt'uno. Aydin è un attore in pensione che gestisce un hotel in quella zona, insieme alla giovane moglie Nihal e alla sorella divorziata. Durante il periodo invernale la neve copre ogni cosa e la regione resta isolata. Costretti nel confortevole albergo-rifugio i due coniugi vedono affiorare conflitti e risentimenti della loro relazione. Maestoso dramma psicologico introspettivo di Nuri Bilge Ceylan, al suo settimo lungometraggio, sospeso tra atmosfere rarefatte, panorami mozzafiato, dilemmi etici, ambienti opprimenti, tensioni emotive, dialoghi profondi, sfumature psicanalitiche, "processi" a porte chiuse. E' un film lento, remoto, importante e denso, dagli echi bergmaniani, sospeso nel sonno invernale del titolo anglosassone, che affronta dall'interno la tematica degli equilibri di potere nei rapporti di coppia, di classe e di lavoro, senza dimenticare aspetti politici come il ruolo femminile all'interno della civiltà islamica, dominata da un paternalismo maschilista millenario. Aydin è un uomo apparentemente buono e saggio (egli ne è profondamente convinto), ma è semplicemente il frutto naturale dell'ambiente in cui è cresciuto e del retaggio culturale-religioso che lo ha influenzato. Aydin è un uomo ricco ed ha un forte senso del possesso (economico, materiale, spirituale), per questo ritiene naturale che la bella moglie sia una sua esclusiva proprietà, come le case, l'albergo o i suoi componimenti e premi teatrali. Aydin è un vecchio patriarca che si è costruito il suo personale regno appartato, dove gestire e controllare ciò che ritiene essere suo di diritto. E' da questo ambito che parte la storia raccontata nel film e prende le mosse il dramma, troppo a lungo sopito da tensioni represse e rancori nascosti. Il regno d'inverno è cinema d'autore di alta quota, sicuramente ostico per i mainstreamers, che richiede impegno, pazienza e riflessione, ma che ripaga totalmente le aspettative di chi nel cinema cerca la profondità del pensiero, lo stimolo intellettuale e la suggestione raffinata. E' anche cinema colto nella sua miriade di rimandi e citazioni "nobili" (Shakespeare, Cechov, Voltaire, Dostoevskij), cinema-teatro che contrappone la solenne angoscia degli interni all'abbagliante bellezza degli esterni naturali. L'albergo di Aydin, incastonato nella roccia degli altopiani anatolici, collocato fuori dal tempo e dal mondo, è un luogo interiore, una gelida allegoria, una torre d'avorio. E' la gabbia dorata in cui ataviche ideologie retrograde hanno recluso la libertà di pensiero, lo spirito indipendente, lo slancio vitale, l'idea anticonformista, l'autonomia personale, il diritto di dissenso, la dignità dell'uomo. O, forse, sarebbe meglio dire della donna. Ha vinto due premi "pesanti" al Festival di Cannes: la Palma d'oro e il Premio FIPRESCI.
 
Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento