venerdì 30 aprile 2021

Suicide Club (Jisatsu sâkuru, 2001) di Sion Sono

In una stazione della metropolitana di Tokyo un gruppo di 54 studentesse si gettano sotto il treno in arrivo, sorridendo e tenendosi per mano. Da quel momento la città viene sconvolta da una serie di suicidi inspiegabili. Un detective che indaga sul caso è convinto che dietro a questo orrore ci sia un misterioso sito internet che sembra prevedere gli eventi prima che accadano. Capolavoro horror visionario di Sion Sono, sotto forma di metafora sarcastica, crudele e agghiacciante, sul disagio alienante della società moderna (giapponese, ma non solo). Il capitalismo ha imposto la sottocultura di massa, la "religione" dell'apparire e del benessere materiale, un diabolico e incessante lavaggio di cervello collettivo che ha annullato il concetto di individuo, cancellato ideali e speranze, annichilito la spiritualità, barattandole con preconfezionati modelli usa e getta di mode, tendenze, brand, slogan, terminologie incomprensibili, beni di consumo, acquisti veloci e compulsivi, esperienze virtuali, tv spazzatura, ricerca ossessiva (e impellente) di piacere, potere, ricchezza, bellezza, pseudo-felicità. E tutto questo all'insegna di un insano senso di competizione, di arrivismo, di prevaricazione e di indifferenza sociale. La massa e la morte sono alla base di questo straniante film di denuncia, che utilizza il linguaggio dell'horror per centrare il cuore del problema e per far arrivare a tutti il suo messaggio, utilizzando, con subdola perfidia grottesca, un meccanismo molto simile all'oggetto della sua critica. Liberamente ispirato ad un fumetto di Usamaru Furuya (da cui Sono ha tratto anche un libro), sa essere straniante, disturbante, geniale e ferocemente ironico nell'esposizione della sua tesi. I tempi e i modi sono quelli tipici del cinema asiatico (estremi, liberi, dissacranti) ed è quasi impossibile che una pellicola del genere possa essere prodotta in occidente o che venga apprezzata dalla maggior parte del pubblico, a meno che questo non sia culturalmente "connesso" (o naturalmente affine) con questo tipo di cinema. Il suicidio è fortemente intrinseco al retaggio culturale giapponese, a causa dell'antico rito del seppuku, reso celebre in tutto il mondo da maestri come Kurosawa o Kobayashi, che sono stati facilmente "esportati" all'estero. E' per questo che Sono sceglie il suicidio come atto supremo della sua accusa sociale, ma lo spoglia di ogni significato "sacro", rituale, individuale, disperato, catartico, espiativo, per renderlo invece di massa, improvvisato, aggressivo, piacevole, politico. Da segnalare la gustosa citazione della busta di plastica "volante" di American Beauty (simbolo della bellezza del mondo ormai per tutti "invisibile") e il delirante personaggio di "Genesis", perfetta icona glam-rock (vagamente ispirata al dottor Frank-N-Furter di The Rocky Horror Picture Show) che incarna il kitsch, l'indifferenza e lo spietato cinismo del mondo contemporaneo.
 
Voto:
voto: 4,5/5

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