lunedì 26 aprile 2021

Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! (Jeremiah Johnson, 1972) di Sydney Pollack

Nell'America del 1850 Jeremiah Johnson, un trapper stanco della così detta vita "civile",  parte da solo verso i territori selvaggi delle Montagne Rocciose del Colorado, sposa la figlia di un capo indiano e adotta un ragazzo, superstite di una famiglia di coloni sterminata dalla tribù dei "Piedi neri". Per fare da guida ad un plotone di soldati che cercano di salvare dei compagni isolati, viola un territorio sacro dei nativi, provocando lo scoppio di una guerra. Dal romanzo "Crow Killer: The saga of Liver-Eating Johnson" di Raymond Thorp e Robert Bunker, ispirato alla vera storia del cacciatore John Johnson, detto "Liver-Eating" (in italiano "Mangiafegato"), Sydney Pollack ha tratto un affascinante western epico, naturalistico e contemplativo, appartenente alla nuova categoria dei così detti western "revisionisti", che rilessero la storia americana in maniera più critica, obiettiva e realistica rispetto alla mitologia fordiana, ponendosi moralmente dalla parte dei nativi. Di questo sottogenere, inaugurato da Il piccolo grande uomo (Little Big Man, 1970) di Arthur Penn e culturalmente favorito dai movimenti pacifisti post sessantottini, Jeremiah Johnson di Pollack è l'apice indiscusso, per fascino evocativo, bellezza estetica, pacatezza del giudizio e contenuto ideologico. Il mito della vecchia frontiera, il suo ancestrale senso di libertà, avventura e sprezzo del pericolo che sempre lo hanno contraddistinto nell'immaginario collettivo, sono ampiamente presenti in questo film, attraverso la magnificenza delle immagini, degli scenari naturali, dei campi lunghi spettacolari che mettono a confronto la solitudine (e il coraggio) dell'uomo, infinitamente piccolo rispetto alla vastità di un paese di abbacinante splendore selvaggio. A tutto questo si aggiunge la coerenza, il lucido equilibrio e la sobria equanimità di un'opera precisa e sensibile, ora cruda ora poetica, che non è pedissequamente a favore degli indiani ma nemmeno contro, presentandoli come un popolo fieramente indomito, capaci di atti feroci o di gesti compassionevoli, evidentemente ostili all'azione di "civilizzazione" imposta dai bianchi o all'avanzata dei pionieri nei loro territori. Un popolo composto da uomini, diversi per aspetto, abitudini, stile di vita e credenze, ma non inferiori e non malvagi per preconcetto. Jeremiah Johnson sa conciliare il fascino della grande avventura che ci si attende da un western, con una corretta ricostruzione storico ambientale ed un inequivocabile (e non postumo, perchè sempre attuale) monito etico-politico: in ogni conflitto che nasce dalla contrapposizione di esigenze diverse (entrambe legittime e necessarie), l'unica via sensata è quella della reciproca comprensione, l'accettazione del "diverso", la via di mezzo. Monumentale Robert Redford in una delle sue interpretazioni più importanti e rappresentative.
 
Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento