venerdì 30 aprile 2021

Cold Fish (Tsumetai nettaigyo, 2010) di Sion Sono

Shamoto ha un piccolo negozio di pesci tropicali e una figlia, Mitsuko, che non tollera la sua seconda moglie, causando spesso problemi in famiglia. Quando la ragazza viene fermata per taccheggio in un supermercato, Shamoto fa la conoscenza di Murata, un uomo dai modi amichevoli e dall'eloquio facile, che li aiuta spontaneamente, convincendo l'esercente a non sporgere denuncia. Da quel momento le due famiglie diventeranno amiche e inizieranno a frequentarsi, anche perchè Murata fa lo stesso mestiere di Shamoto, ma con un volume ben superiore di affari e di introiti. Il benefattore assume persino la giovane Mitsuko nel suo grosso centro vendita di pesci d'acquario, in modo da tenerla lontana dalla strada e dai guai. Ma, a mano a mano che il rapporto s'intensifica, Shamoto si rende conto che il fascinoso Murata cela un terribile segreto. E, dopo averlo scoperto, non potrà più tornare indietro. Inquietante horror sociale di Sion Sono, probabilmente il suo film più nero, duro e cruento dal punto di vista visivo. Fin dall'inizio si capisce che qualcosa non quadra ma, addentrandosi sempre più nel vortice oscuro della famiglia di Murata, si viene travolti da un escalation disturbante di sangue, violenza e sesso "malato", con scene esplicite e dirette che risparmiano ben poco allo spettatore. Ma il tutto viene in parte mitigato dalla consueta stilizzazione sopraffina tipica dell'autore e da uno strano umorismo grottesco che, se da un lato attenua, dall'altro stranisce. Incredibilmente questa sordida vicenda intrisa di odio e malvagità è ispirata da un fatto di cronaca realmente avvenuto in Giappone negli anni '80, come a dire che, molto spesso, la realtà sia ben peggiore della fantasia. A riscattare il tutto dalle possibili accuse di sadica exploitation o di pura "macelleria", c'è l'evidentissima valenza metaforica di cui il film è carico. Pur nella sua irrefrenabile progressione geometrica di brutalità e di morte, in cui ogni aspetto è idealmente "insanguinato", l'autore accorda il metronomo della violenza sulla situazione sociale del suo paese, mettendo nel mirino della sua critica il fallimento del modello di famiglia patriarcale e la voracità insaziabile del capitalismo che ha corrotto l'antica anima nobile del Giappone, provocando, da un lato, un senso di smarrimento e, dall'altro, una feroce competizione che, unita alla complessiva perdita di valori morali, diventa una sorta di "educazione al crimine", ovvero ad uno stile di vita aberrante e disumano. Sono altresì presenti, ma in maniera più limata, allusioni alle responsabilità negative dell'approccio repressivo della religione, che, con il suo miope negazionismo dei reali bisogni dell'uomo, diventa un fattore traumatico durante l'età giovanile. Le allegorie sono ben chiare e, piaccia o meno, conformi alla poetica "eretica" dell'autore, a cominciare dal titolo emblematico, che ha una doppia valenza: il pesce freddo è il pasto che si dà all'alligatore, ovvero il più grande mangia il più piccolo (la logica del capitalismo). Ma è anche la caratteristica di essere "a sangue freddo", ovvero impassibili di fronte al dolore altrui, all'ingiustizia, ai crimini più tremendi, alla morte. Ed è esattamente questo l'atteggiamento stilistico tenuto da Sono nel corso della finale progressione violenta della pellicola: freddezza, distacco, impassibilità. Il vertiginoso contrasto tra la ferocia visiva, l'aggressività ideologica e la perfezione formale, sono il punto di forza indiscutibile di quest'opera di raggelante durezza.
 
Voto:
voto: 4/5

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