mercoledì 21 aprile 2021

I senza nome (Le cercle rouge, 1970) di Jean-Pierre Melville

Un ladro italiano in fuga, un detenuto francese appena rilasciato per buona condotta ed un ex sbirro senza scrupoli si mettono insieme per fare il colpo grosso in una gioielleria parigina. Il furto riesce, grazie alla perfetta organizzazione del piano, ma uno zelante commissario di polizia, segugio implacabile, si mette sulle loro tracce, anche a causa di un conto aperto con uno dei tre. Formidabile polar di Jean-Pierre Melville, il suo migliore e, probabilmente, uno dei migliori in assoluto. Ambizioso, suggestivo, avvincente, inesorabile, serrato, emblematico, è un autentico film testamento, il magnifico compendio del cinema dell'autore di cui contiene tutti i temi, gli silemi, le ossessioni: il senso di morte, il doloroso fatalismo, il maledettismo esistenziale, l'amicizia virile, il senso di colpa, la solitudine profonda. Perfetto nel suo geometrico meccanismo, pervaso da una cupezza che è interiore prima che d'atmosfera, dominato da un determinismo ineluttabile che diventa astrazione filosofica sul senso (assurdo) della vita, stringato nei tempi ed esemplare nel disegno dei quattro personaggi principali, è ormai un grande classico del poliziesco nero, un tripudio di simbolismi e di astrazioni, che strizza l'occhio al western americano, al codice dei samurai giapponesi, alla tragedia greca, al rigoroso minimalismo di Bresson (di cui Melville era riverente discepolo), e omaggiando ripetutamente (e scientemente) il capolavoro Giungla d'asfalto (1950) di John Huston. L'idealizzazione archetipale dei protagonisti (definiti attraverso le loro azioni più che dal loro passato), la separazione teorica del contesto che rimanda ad un milieu mitizzato di astratto esistenzialismo, la desaturazione della fotografia che tratteggia le immagini in un colorato bianco e nero fortemente espressivo, l'uso evocativo dei silenzi e delle musiche al servizio di una spiritualità sotterranea, rendono questo film un noir poliziesco unico nel suo genere, un capolavoro che piega i generi all'essenza della poetica dell'autore. Imponente il cast, con Alain Delon, Gian Maria Volonté, Yves Montand e André Bourvil. Nonostante la presenza di tre divi, Bourvil riesce ad essere una spanna sopra tutti (straordinaria la sua interpretazione del commissario Mattei), mentre Volonté (bravissimo e impeccabile come al solito) ebbe un rapporto travagliato con il regista, a causa del suo carattere forte e delle sue idee politiche. Leggenda vuole che sul set il "litigio" tra i due fu praticamente ininterrotto, anche se, alla fine, Melville si disse molto soddisfatto dalla performance del nostro grande attore. Duramente osteggiato dalla critica alla sua uscita, ma amatissimo dal pubblico fin da subito, il film ebbe la sua meritata rivalutazione a partire dagli anni '80 (e per merito iniziale degli americani) e oggi viene unanimemente annoverato trai i capolavori del suo genere. La versione circolante in Italia è inspiegabilmente (e inopinatamente) tagliata di circa 30 minuti, omettendo anche scene importanti e significative. Va dunque assolutamente recuperata la versione originale, tra l'altro facilmente reperibile grazie all'edizione home video uscita nel 2012, in cui le scene "eliminate" sono state reintegrate, senza doppiaggio italiano ma con sottotitoli. 
 
Voto:
voto: 4,5/5

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