Su consiglio della madre la giovane Mademoiselle de Chartres sposa un famoso medico, ma ben presto scopre di non provare nulla per lui. Sente invece una forte attrazione per Abrunhosa, un cantante rock molto conosciuto. Ma quando lui l'avvicina lei lo respinge, per non tradire il marito, e decide di confidarsi con la madre. Rimasta vedova continua a negarsi al corteggiamento di Abrunhosa, in nome della reputazione e di un forte senso di colpa. Il grande maestro portoghese Manoel de Oliveira ha adattato per il cinema un capolavoro della letteratura francese, "La principessa di Clèves" di Madame de La Fayette, spostandone l'azione dal '600 ai giorni nostri, ma senza perderne il senso intimo, le sottigliezze psicologiche e il tormento morale di fondo. La sua "rilettura" per il cinema è sontuosa, uno psico-dramma sentimentale sul rimorso e sull'incapacità umana di essere realmente felici nell'amore. Era quasi inevitabile che il regista di Oporto si confrontasse, prima o poi, con questo testo letterario, perfettamente nelle sue corde e nei suoi interessi, visto che il tema degli amori incompiuti è ricorrente nella sua filmografia. In questo film l'attenzione è rivolta ad un amore borghese, con una protagonista fragile, insoddisfatta e indecisa, che vive i sentimenti in modo oppressivo e che viene costantemente bloccata dalla paura di fallire. L'autore si mantiene, come da sua abitudine, freddo e distaccato nei confronti dei personaggi, non li giudica e non li assolve, ma lascia decidere allo spettatore se l'inconcludenza di Mademoiselle de Chartres sia un atto di "eroismo" o di mediocrità, o in quale misura dell'uno e in quale dell'altro. L'algida bellezza formale, la reticenza espressiva, la distanza emotiva, lo stile solenne, ne fanno un film difficile, per cinefili preparati o per appassionati del regista. Ma è impossibile non lodarne il rigore concettuale e la purezza analitica, a meno di non essere miopi. Il paradosso che dimostra la sua grandezza sta nel fatto che, pur essendo un'opera che ci parla di desiderio, questo non viene mai esplicitato in maniera canonica, pur avendo nel cast una protagonista brava e sensuale come Chiara Mastroianni. L'erotismo, indubbiamente palpabile a livello psicologico, resta sempre sotto traccia, accordando lo spettatore con l'animo del personaggio e rendendo "La lettera" (alludo al film, ma anche all'epistola dell'epilogo) una potente riflessione sul valore della rinuncia. Il film è stato premiato al Festival di Cannes con il Premio della giuria.
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