A causa della crisi economica del 2007 Fern, solida donna di mezza età, perde prima il lavoro, poi il marito (stroncato da una brutta malattia) e infine anche la casa, dopo la chiusura della città aziendale di Empire (Nevada) in cui abitava. Incapace di accettare una sistemazione (anche temporanea) presso la sorella, Fern, indipendente e orgogliosa, decide di vivere in un furgone, viaggiare di stato in stato e arrangiarsi con lavori saltuari. E, visto che le alternative non sono moltissime per una persona con le sue caratteristiche (troppo giovane per la pensione e troppo vecchia per un contratto lavorativo a tempo pieno), Fern accetta la sua condizione di nomade, scoprendo così un nuovo stile di vita e una comunità "invisibile" colma di straripante umanità. Già con l'ottimo The Rider (2017) la regista Chloé Zhao, una cinese che ama l'America, aveva dimostrato le sue doti: talento, sensibilità, attenzione ai dettagli, impegno civico, asciuttezza narrativa. E con questo splendido dramma sociale, tratto dal libro-reportage "Nomadland - Un racconto d'inchiesta" di Jessica Bruder, le riconferma tutte, anzi va ancora oltre, regalandoci un affresco profondo, dolente, toccante e incredibilmente realistico dell'altra faccia dell'America: quella degli ultimi, degli alienati, dei dimenticati, una silenziosa tribù nascosta di persone che sono finite ai margini del competitivo e tirannico modello capitalistico americano, indesiderati e indesiderabili, non più utili, non conformi, un'umanità di "seconda classe" che non ha più i requisiti per far parte di quel sistema che li ha precedentemente sfruttati fino all'osso. I nomadi americani mostrati in questo film non sono parassiti, non sono criminali, non sono fannulloni, non sono persone peggiori o migliori di ciascuno di noi. Sono persone "normali", semplici, sofferenti, solidali, dignitose e volenterose, che il destino (per sfortuna, casualità, carattere o scelte sbagliate) ha cinicamente tagliato fuori dai processi produttivi dominanti, dall'avido tavolo delle multinazionali, dove prevalgono le spietate leggi del profitto. Leggi in cui gli esseri umani diventano numeri e il loro destino dipende dal risultato di un freddo calcolo matematico. Chloé Zhao, da sempre affascinata dalla cultura occidentale, ama raccontare esattamente questo tipo di America, accostando in uno struggente contrasto la magnificenza imponente dei suoi elementi naturali (gli spazi immensi e il senso di libertà che ne deriva) con un microcosmo di umanità umile, alienata, lontanissima dalle luci sfavillanti delle grandi metropoli, ma, al tempo stesso, coraggiosa, compassionevole, cordiale, decorosa, indomita. Come evidenziato in un emblematico dialogo del film, nell'animo di questi nomadi moderni sopravvive ancora parte dello spirito ancestrale dei vecchi pionieri, che partirono alla conquista dell'ovest inseguendo un sogno di libertà, il miraggio di una "nuova vita". Ed è forse questo il contrasto più sottile e profondo di questa pellicola: prendere atto che gli ultimi barlumi del leggendario "sogno americano" risiedono ormai tra i così detti "perdenti", visto che la società del welfare li ha da tempo barattati con avidità, consumismo, egoismo, edonismo, creando un vorace e disumano stile di vita che si nutre di sè stesso, senza mai saziarsi. Nomadland è un'elegia lirica degli ultimi, un coro silente di anime obliate, un film secco e sincero, privo di retorica pietistica e di effettismi patetici, ma carico di poesia, di tenerezza, di dignità. Lo sguardo della regista non si trova mai al di sopra o al di sotto dei suoi personaggi, ma sempre esattamente alla loro altezza, non li giudica, non li santifica, non li compatisce, ma li accompagna, li "accarezza", condivide le loro difficoltà, per poi lasciarli andare verso il proprio destino, fino al prossimo incontro "lungo la strada". Un film intimo, forte, faticoso, urgente, necessario, in cui indignazione e commozione viaggiano all'unisono, senza eccessi, senza strepiti, sempre all'insegna di una fiera compostezza. Perchè i protagonisti di Nomadland non sono eroi, non sono santi, ma uomini, che cercano "semplicemente" di essere ancora riconosciuti (e trattati) come tali. Straordinaria interpretazione della "signora Coen", Frances McDormand, che ha aderito anima e corpo al progetto (anche in veste di produttrice), consolidando ulteriormente il suo ruolo di icona del cinema americano indipendente e di qualità. Sei candidature "pesanti" agli Oscar 2021 (in cui viene considerato da tutti come grande favorito) e meritatissimo Leone D'Oro al Festival del Cinema di Venezia.
La frase: "Ci vediamo lungo la strada"
Voto:
Splendida recensione
RispondiElimina