Alla fine del XIX secolo, su una piccola isola remota al largo delle coste del New England, sbarcano due guardiani del faro, per portare a termine un turno di sorveglianza di un mese. Il capo è l'esperto Thomas Wake, vecchio e rude, che dà subito filo da torcere al suo giovane aiutante, Ephraim Winslow, affidandogli compiti da sguattero e impedendogli rigorosamente di accedere alla cima del faro, da dove viene emessa la luce. Una furiosa tempesta costringe i due uomini ad un più lungo periodo di permanenza, isolamento e promiscuità, con l'alcol unico "allegro" compagno. Winslow inizia ad avere angoscianti allucinazioni che sembrano reali e ben presto l'alienante situazione farà emergere tensioni, paure, risentimenti, segreti inconfessabili, disperazione, portando i due sull'orlo della follia. Mentre una natura ostile e possente sembra accanirsi contro di loro. Secondo film dell'orrore di Robert Eggers dopo il suo sfavillante esordio (The Witch), con una pellicola sfuggente, ermetica, allucinata e allucinante, sospesa tra il dramma psicologico "all'europea" e l'horror fantastico carico di miti, di leggende e di elementi archetipi dal palese senso metaforico. Un senso che, però, è sempre più nebbioso e ineffabile a mano a mano che ci si addentra nei meandri di una vicenda oscura, che percorre la linea di confine tra il delirio psichico, il terrore inconscio e una "realtà" intellegibile. E proprio come i due uomini sull'isola si trovano a lottare per la "conquista" della luce (del faro) e la scoperta del suo mistero, così lo spettatore va alla ricerca di una luce/guida (di comprensione), per orientarsi in questo film-labirinto. Ma è evidente che un approccio razionale o esplicativo è del tutto inutile, anzi addirittura fuori luogo. Ora affascinante ora respingente, The Lighthouse resta un'esperienza visiva straordinaria, stimolante, stravagante, ricca di suggestioni, citazioni e connessioni. Tutte da godere più che da spiegare. La confezione estetica, con un bianco e nero contrastato che guarda direttamente ai capolavori dell'espressionismo tedesco, è sontuosa, e conferisce all'opera un tono antico, austero, mitologico. Probabilmente ostico per il pubblico di massa. Ritornano diversi temi già affrontati dal regista nel suo esordio: il conflitto tra uomo e natura, e tra civilizzazione e forze soprannaturali, la sottile separazione tra orrore interiore e malefici esterni, che sembrano coesistere in simbiosi, rendendo impossibile stabilire quale dei due influenzi (o generi) l'altro. La sensazione di un esercizio stilistico enfatizzato fino ai limiti del manierismo è più che fondata, ma è altresì innegabile che ci troviamo di fronte ad un esempio di cinema elevato, un horror d'autore allegorico che parla all'inconscio e non cerca mai il facile consenso o l'ammiccamento consolante. Snob? sicuramente. Seducente? idem. Nel cast Willem Dafoe vola alto, Robert Pattinson cerca di tenersi all'altezza, "ma non eran da ciò le proprie penne" (cit. Paradiso, XXXIII).
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