mercoledì 14 aprile 2021

The Lighthouse (2019) di Robert Eggers

Alla fine del XIX secolo, su una piccola isola remota al largo delle coste del New England, sbarcano due guardiani del faro, per portare a termine un turno di sorveglianza di un mese. Il capo è l'esperto Thomas Wake, vecchio e rude, che dà subito filo da torcere al suo giovane aiutante, Ephraim Winslow, affidandogli compiti da sguattero e impedendogli rigorosamente di accedere alla cima del faro, da dove viene emessa la luce. Una furiosa tempesta costringe i due uomini ad un più lungo periodo di permanenza, isolamento e promiscuità, con l'alcol unico "allegro" compagno. Winslow inizia ad avere angoscianti allucinazioni che sembrano reali e ben presto l'alienante situazione farà emergere tensioni, paure, risentimenti, segreti inconfessabili, disperazione, portando i due sull'orlo della follia. Mentre una natura ostile e possente sembra accanirsi contro di loro. Secondo film dell'orrore di Robert Eggers dopo il suo sfavillante esordio (The Witch), con una pellicola sfuggente, ermetica, allucinata e allucinante, sospesa tra il dramma psicologico "all'europea" e l'horror fantastico carico di miti, di leggende e di elementi archetipi dal palese senso metaforico. Un senso che, però, è sempre più nebbioso e ineffabile a mano a mano che ci si addentra nei meandri di una vicenda oscura, che percorre la linea di confine tra il delirio psichico, il terrore inconscio e una "realtà" intellegibile. E proprio come i due uomini sull'isola si trovano a lottare per la "conquista" della luce (del faro) e la scoperta del suo mistero, così lo spettatore va alla ricerca di una luce/guida (di comprensione), per orientarsi in questo film-labirinto. Ma è evidente che un approccio razionale o esplicativo è del tutto inutile, anzi addirittura fuori luogo. Ora affascinante ora respingente, The Lighthouse resta un'esperienza visiva straordinaria, stimolante, stravagante, ricca di suggestioni, citazioni e connessioni. Tutte da godere più che da spiegare. La confezione estetica, con un bianco e nero contrastato che guarda direttamente ai capolavori dell'espressionismo tedesco, è sontuosa, e conferisce all'opera un tono antico, austero, mitologico. Probabilmente ostico per il pubblico di massa. Ritornano diversi temi già affrontati dal regista nel suo esordio: il conflitto tra uomo e natura, e tra civilizzazione e forze soprannaturali, la sottile separazione tra orrore interiore e malefici esterni, che sembrano coesistere in simbiosi, rendendo impossibile stabilire quale dei due influenzi (o generi) l'altro. La sensazione di un esercizio stilistico enfatizzato fino ai limiti del manierismo è più che fondata, ma è altresì innegabile che ci troviamo di fronte ad un esempio di cinema elevato, un horror d'autore allegorico che parla all'inconscio e non cerca mai il facile consenso o l'ammiccamento consolante. Snob? sicuramente. Seducente? idem. Nel cast Willem Dafoe vola alto, Robert Pattinson cerca di tenersi all'altezza, "ma non eran da ciò le proprie penne" (cit. Paradiso, XXXIII). 
 
Voto:
voto: 4/5

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